Il ritorno del Califfo

Passata la buriana del festival di Roma, dove Stefano Calvagna aveva protestato per l’esclusione del suo film su Franco Califano, Non escludo il ritorno, è ora tempo di presentare la pellicola


Qualche giorno fa Stefano Calvagna, intonando il ritornello di Tutto il resto è noia, aveva inscenato una protesta durante la conferenza stampa della nona edizione del Festival di Roma per l’esclusione del suo film dedicato a Franco Califano, Non escludo il ritorno, che il 6 novembre (con anteprima a ingresso libero stasera, 29 ottobre, all’aperto in Piazza Vittorio) esce in sala nelle maggiori capozona. Il gruppo, che aveva con sé uno striscione, è stato allontanato dalla Sala Petrassi, ma fatto in tempo a scandire: “Califano non lo ricorda nessuno, Roma lo uccide per la seconda volta, dopo Sanremo”.

Ora però sembra acqua passata: “Il festival è andato – dice il regista – inutile riaprire la polemica. Non ho visto i film selezionati a parte quello realizzato da mio figlio per la sezione Alice. Penso che un omaggio a Califano, a Roma, ci poteva stare, magari come evento e non in concorso. Ci sono stati gli Spandau Ballet, si poteva trovare uno spazio di un’ora e mezza. Chiaro che non l’ho presa bene”. La pellicola presenta una scelta insolita di casting: nel ruolo del protagonista c’è il giovane Gianfranco Butinar, che non è attore ma di Califano è stato amico ed è uno dei suoi più grandi imitatori in radio: “Il personaggio me lo porto dentro – ha detto Butinar – quindi per me è stato facile. Poco prima di Natale c’era nell’aria l’idea di una fiction sul maestro, ma temevamo che potessero trattare solo di carcere, droga e donne. Quindi anche se non mi sento certo un attore ho accettato l’invito di Stefano per potergli rendere omaggio come si doveva”. La famiglia dell’artista ha fatto il resto, mettendo a disposizione vestiti, oggetti personali, orologi e arredo. Solo la casa non è la stessa, perché  è stata affittata.

“Conosco Califano dal ’91 – racconta ancora Butinar – da quando lo incontrai a un concerto – quindi mi ha aiutato parlare della terza fase della sua vita, che lui considerava una vita vera e propria. Diceva ‘diventerò vecchio solo cinque minuti prima di morire’ e così è stato. Lo stesso giorno in cui se n’è andato aveva chiamato noi amici per vedere la partita con lui. Potrei raccontare mille aneddoti, da quando salutò il suo pubblico a Rebibbia con ‘A delinquenti!’ a quando definì le canzoni di Amedeo Minghi ‘tutte uguali e chilometriche, e c’arriva pure sotto le gallerie”’ (l’emittente era Isoradio). E poi amava essere riconosciuto. Se vedeva un gruppo di ragazzi li chiamava ‘A’ zozzi!’. E tutti: ‘Anvedi, er Califfo!’.

“Ho evitato il playback anche nelle scene di canto – sottolinea Calvagna – Gianfranco era perfetto così e in certi momenti sembrava di sentir cantare davvero Franco. E poi volevamo che nulla sembrasse artificiale. Raccontiamo un suo momento di difficoltà. Era malato, stanco e mal consigliato: qualcuno gli aveva raccomandato di fare appello alle Legge Bacchelli, che offre un sussidio ad artisti che hanno dato lustro al paese, e tutti puntarono il dito contro di lui. Ma la verità è che lui non sapeva nemmeno di cosa si trattasse. In tv la chiamava ‘Legge Bacchetti’. Disse solo: ‘e che io non gli ho dato lustro, al paese?’. Pensava solo che, ammesso che ne avesse avuto diritto, avrebbe dovuto avere il sussidio. Ed era in effetti in difficoltà economiche, tra la chemio e le spese da pagare. Il film è più vero del vero. Ho romanzato solo la dipartita, perché lui è morto in realtà in bagno per una crisi respiratoria, e non potevo certo essere letterale, non era il caso. Quando lo conobbi al Teatro Flaiano mi dette subito il suo numero di casa e io ero così emozionato che non sapevo quando chiamarlo. Mi rispose la sua segreteria: ‘Chi non lascia un messaggio non arriva fino a maggio’. Era aprile quindi lo lasciai. Lo conobbi meglio. Mi diceva sempre ‘sei il Califano del cinema, sei scomodo come me’. Finché il suo manager non mi chiese di filmare il concerto per il suoi 70 anni a Piazza Navona. Non chiesi nulla, fu il mio regalo per lui. E poi mi disse che voleva fare una commedia, Natale a Rebibbia, perché secondo lui i film ambientati in carcere erano troppo drammatici e non sottolineavano che tra guardie e carcerati spesso c’è complicità”.

Nel film compare in un cameo niente meno che Michael Madsen, nel ruolo dell’impresario Paul Hummel: “E’ stato lui a volermi incontrare perché aveva visto un mio film a New York – dice Calvagna – dove ho una casa di produzione con Steve Buscemi. Quindi mentre era a Roma per lavorare su un altro film mi ha chiesto di incontrarci e di ritagliargli una parte. Io stavo già girando, ma quando mi ricapitava? Mi sono ispirato a un episodio reale, dato che il padre di Califano aveva combattuto in Libia”.  

Andrea Guglielmino
29 Ottobre 2014

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