La violenza nascosta del femminicidio

In concorso a Venezia 70 "Die Frau des Polizisten" di Philip Groening, dentro una famiglia apparentemente felice


VENEZIA – Stillicidio di spettatori che escono dalla sala ma, per chi resta, l’esperienza preziosa di un film che scava nel tema del femminicidio e della violenza familiare fuori da ogni schematismo, lasciandoci l’onere doloroso di comprendere e prendere posizione in prima persona. Non bastano le leggi per difendere le vittime perché tra la moglie maltrattata e il marito prevaricatore e potenzialmente assassino c’è quasi sempre una sottile e profonda connivenza. E’ Die Frau des Polizisten, in concorso a Venezia, del tedesco Philip Groening, autore dell’acclamato documentario monastico Il grande silenzio. Un’opera senza musica, rigorosa, suddivisa in 59 capitoli, alcuni brevissimi, altri, come la scena finale di violenza, terribilmente lunghi, che ci porta dentro alla vita quotidiana di una famiglia qualsiasi in un piccolo centro. Il papà fa il poliziotto, la moglie cresce la figlioletta di 4 anni, tra giochi, passeggiate nel bosco e canzoncine. Una famiglia felice, all’apparenza. Ma la favola lentamente – l’opera dura 175′ – si incrina fino a sgretolarsi completamente. Scopriamo qualche livido sul corpo di Christine. Ma, quando la bambina se ne accorge, il padre minimizza. “Mamma ha una malattia, la sua pelle diventa blu e verde più facilmente della nostra”. Lui è ossessionato dall’idea che lei possa lasciarlo, la controlla, la domina, la donna non osa reagire, anzi, sembra attaccarsi sempre di più al suo carnefice, non può più fare a meno, pur precipitando nella depressione. Ma anche l’uomo è vittima del suo gioco al massacro che lo svuota. 
Il regista ha spiegato che la partizione in capitoli “dà allo spettatore la libertà di distanziarsi per poi potersi immedesimare di nuovo”. E allo stesso modo ha protetto le due gemelline che hanno interpretato la piccola, non espondendole mai alle scene di litigi o botte. Le preoccupazioni morali sembrano aver guidato la millimetrica costruzione di Groening che, nel suo discreto italiano, parla del film definendolo un “esercizio brechtiano per vedere cosa è l’essere umano”. 
Si parla di violenza domestica, certo, ma anche di amore e dipendenza. “Un essere umano viene creato, un altro distrutto”. E sulla fuga di spettatori dalla sala cosa ha da dire? “Il film è un mosaico che si sviluppa lentamente e alcuni si sentono a disagio, mentre per gli altri si crea un’emozione più profonda.Ognuno afferra qualcosa di diverso e anche il finale viene compreso diversamente da diverse persone”.

Cristiana Paternò
30 Agosto 2013

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