Flor da Baixa, la sfida della videoarte


In un concorso quasi interamente dominato dal cinema sperimentale, non narrativo, spesso decisamente criptico, l’unico film italiano che i selezionatori del Torino Film Festival hanno inserito in programma è un pezzo di videoarte che esula completamente dai percorsi produttivi del cinema per la sala. Anzi, non sembra neanche un film italiano, Flor da Baixa, che Mauro Santini ha realizzato in cinque anni tra Lisbona, Marsiglia, Rio de Janeiro e Taranto tornando spesso sui suoi passi con la  videocamera. È forse un esempio di cosa può scaturire dalla rivoluzione “democratica” del digitale, ma con un eccesso di autoreferenzialità che non sfugge allo stesso autore: “Capisco che questo film richiede una grande pazienza allo spettatore. Mi piace lasciare molto, forse troppo, al non detto”. Il suo primo lungometraggio (espansione di lavori più contenuti nella durata presentati qui a Torino o in altre rassegne) nasce dall’immagine delabré della finestra di una pensioncina della Baixa, uno dei quartieri più affascinanti di Lisbona, città cinematografica da Wim Wenders a Alain Tanner. Quell’inquadratura è un ricordo personale certo denso di significati che risale a un viaggio di dodici anni fa e che Santini (Fano, 1965) ha dilatato in una possibile storia di lontananza, di attesa e di assenza inserendo una figura femminile alla finestra, unico possibile brandello di narrazione, “l’àncora che ci riporta al cinema e che potrebbe preludere a una presenza d’attore nei miei lavori successivi, anche se so che proseguirò la mia ricerca sullo sguardo e dunque l’attore ci sarà soprattutto o soltanto come riferimento di questo sguardo”. Con studi artistici, di grafica e fotografia, Santini, che sente una speciale affinità elettiva con il cinema portoghese e in particolare con Pedro Costa, ha vinto nel 2002 al Torino Film Festival (Spazio Italia) ed è stato invitato a Locarno e all’Infinity di Alba. Ladro di immagini e filologo, come si definisce, Santini preferisce non esasperare la manipolazione dei materiali, privilegiando il sentimento personale che scaturisce dall’osservazione dei luoghi e talvolta delle persone, con immagini sottratte senza essere visto per esempio attraverso le persiane semichiuse di una stanza d’albergo a Marsiglia in una nottata turbolenta e alcolica. Immagini notturne, sempre più buie e prossime al grado zero, e suoni che si affievoliscono per scomparire quasi: “C’è una deriva della visione che rischia di perdersi mentre la scelta di desaturare le riprese serve piuttosto a eliminare la freddezza del digitale; ma tutto è girato in presa diretta e nulla è costruito o artefatto, solo al montaggio mi rendo conto di quale figura diventi fondamentale e quale invece sia inutile. E’ al montaggio che prende forma il tutto”. Flor da Baixa è un DigiBeta di 77′ autoprodotto e realizzato senza sceneggiatura. Maggiori info sul sito dell’autore.

17 Novembre 2006

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