In Sardegna, dove si fa la guerra in tempo di pace


BERLINO – Non è del tutto vero che l’Italia sia assente da questa 63° Berlinale. Pur senza trovare spazio in concorso, ha una presenza diffusa un po’ in tutte le sezioni e anche nel Forum, da sempre riservato al cinema più sperimentale e di ricerca e dove spesso la nostra produzione non ha trovato asilo. Invece quest’anno uno dei film più attesi e anticipati della selezione di Christoph Terhechte è Materia oscura di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Tanto che il Tagespiegel l’ha segnalato come uno dei film da non mancare. Documentario politico che riflette sul cinema, tentando di filmare l’invisibile, tocca argomenti scottanti come il disastro ambientale voluto dall’uomo senza tuttavia essere un film di denuncia e risponde pienamente al manifesto programmatico del Forum: “esaminare l’impatto del disorientamento politico sulle condizioni di vita delle persone e sulla loro psiche, guardare alle conseguenze della globalizzazione in forme che ibridano fiction e non fiction”.
L’opera dei due autori, molto conosciuti anche all’estero grazie a un film come Il castello, girato all’aeroporto di Malpensa, che ha vinto riconoscimenti ovunque e ha partecipato a più di 100 festival, è uno studio in tre movimenti attorno al Poligono Sperimentale del Salto di Quirra, un’area di circa 12mila ettari tra le provincie di Cagliari e Nuoro, dove da oltre cinquant’anni i governi di tutto il mondo hanno testato armi e stoccato rifiuti tossici contaminando irrimediabilmente un territorio all’apparenza incontaminato e dal paesaggio unico. Per due decenni qui ci sono state dieci esplosioni al mese e molte industrie private hanno potuto testare i propri prodotti nella zona al prezzo di 50mila euro l’ora. “L’idea di questo film – ci racconta Massimo D’Anolfi – è nata alcuni anni fa, prima che partisse l’indagine del procuratore Fiordalisi nel gennaio 2001 con l’ipotesi di omicidio plurimo e omissione di atti d’ufficio per mancati controlli sanitari. Da quel momento ci siamo chiesti se avesse ancora senso fare il film, ma dopo un ulteriore sopralluogo abbiamo capito che c’era ancora spazio, tempo e modo per farlo”. Così Massimo e Martina hanno passato più di un anno, in vari periodi, nella zona del poligono, “luogo di guerra in tempo di pace”, come dicono loro.

Senza voler entrare nella vicenda giudiziaria, ancora in corso, i due autori che hanno un’idea rigorosa di cinema e non a caso citano Gianikian e Ricci Lucchi come grande modello, hanno lasciato dialogare in silenzio, senza voci di commento e senza alcuna spiegazione, immagini di repertorio e momenti narrativi: un geologo perlustra la zona alla ricerca di residui bellici, carcasse di carri armati e missili, mentre due pastori portano le greggi al pascolo tra i boati delle esplosioni, due allevatori, padre e figlio, assistono un vitellino appena nato e destinato a morire a causa delle malformazioni. Sono momenti di cinema intenso e sommesso che fanno pensare a Le quattro volte di Michelangelo Frammartino anche per la descrizione della natura. E sorprendono gli spezzoni che puntualmente ricostruiscono la storia del Poligono: “i militari filmano da sempre tutto quello che fanno e anche su internet si possono trovare molti materiali”, spiegano ancora i due registi. Che hanno rifilmato i filmati e mostrato anche il lavoro di camera oscura dei militari.

“Ci interessava la convivenza tra la natura e l’alta tecnologia, abbiamo fatto un film ciambella, con uno spazio vuoto al centro. Un film sul cinema, sulla vita, sulla stupidità dell’uomo e, alla fine, sulla morte. Volevamo filmare una nascita, ma ci siamo trovati coinvolti nella morte del vitellino e abbiamo capito che quelle sarebbero state le ultime immagini del film, che dopo non potevamo dire più nulla. La disperazione dell’allevatore per la morte del vitello è eco del dolore per la perdita di suo figlio, morto di leucemia”, spiega Martina Parenti. Molte persone nella zona, infatti, si sono ammalate di linfomi e leucemia e nelle ossa delle 18 salme finora riesumate sono state trovate tracce consistenti di torio. “Ma la materia oscura del titolo – continua Massimo – non è quella radioattiva, è ciò che sappiamo esistere anche se non è ancora dimostrato, è un luogo apparentemente puro ma in realtà contaminato, ed è pure la materia dei sogni di cui è fatto il cinema”.

 

Dopo Berlino Materia oscura sarà a Cinéma du Réel e al Festival di Bari. Per la circolazione del film, coprodotto da Rai Cinema con il sostegno dell’Associazione Corso Salani e del Programma Media, c’è un interessamento della Sardegna Film Commission e una possibile distribuzione.

11 Febbraio 2013

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