‘Rocco e i suoi fratelli’ restaurato e con i tagli di censura recuperati

Domenica 17 maggio, Claudia Cardinale è attesa al Festival con il produttore Guido Lombardo e al direttore della Cineteca di Bologna Farinelli, per la proiezione a Cannes Classics del film di Visconti


CANNES. “L’incontro con Visconti fu per me determinante perché significò davvero entrare nel cinema dalla porta principale. Essere scelta da lui fu una emozione immensa! Poi lui con me aveva il vezzo di parlare solo in francese, mi chiamava ‘Claudine’, e questo mi piaceva molto. Mi avevano raccontato tante cose del suo carattere, che era molto duro specialmente con le donne, che poteva essere molto cattivo. Non mi torna, non fu mai così nei miei confronti”.
Così Claudia Cardinale ha più volte ricordato la sua partecipazione a Rocco e i suoi fratelli, il film sull’emigrazione e l’emarginazione meridionale a Milano, nel ruolo di Ginetta la fidanzata di Vincenzo.
Domenica 17 maggio, l’attrice è attesa qui al Festival, insieme al produttore Guido Lombardo e al direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli, per la proiezione Cannes Classics del film di Visconti in una nuova versione restaurata dalla Cineteca di Bologna, in collaborazione con Titanus, TF1 Droits Audiovisuels, The Film Foundation di Martin Scorsese e GUCCI. Un nuovo restauro, supervisionato da Giuseppe Rotunno, che recupera i tagli di censura avvenuti dopo la prima alla Mostra di Venezia nel 1960.

“È uno schifo, una vergogna, un film che non può essere assolutamente premiato”, sentenziarono al Lido alcuni politici democristiani riferendosi alla scena della violenza di Simone (Renato Salvatori) su Nadia (Annie Girardot) e dell’omicidio della stessa Nadia. Scena che Visconti non aveva potuto realizzare all’Idroscalo per il permesso negato dalla Provincia di Milano e che girò per ultima al lago di Fogliano (Latina).
L’effetto ottenuto furono pressioni sulla giuria veneziana che assegnò il Leone d’Oro a Il passaggio del Reno di André Cayatte, mentre a Rocco e i suoi fratelli andò il Premio speciale della giuria rifiutato da Visconti e dal produttore Goffredo Lombardo. Proiettato a Milano in anteprima il 14 ottobre 1960, il giorno successivo il procuratore capo della Repubblica di Milano, Carmelo Spagnuolo, convocò il produttore Goffredo Lombardo richiedendo quattro tagli. Avendo il film già ottenuto il visto di censura ne nacque un’aspra polemica. Lombardo ottenne che le scene non fossero tagliate, ma oscurate durante la proiezione. La vicenda giudiziaria continuò fino al 1966 quando Visconti fu assolto in modo definitivo. Nel 1969 la censura ribadì il divieto ai minori di 18 anni e nel 1979 fu allestita una nuova edizione per il passaggio in tv con altri tagli.

Nella Milano del boom economico Visconti narra le vicende drammatiche di una famiglia lucana arrivata dal Sud in cerca di fortuna: Rocco (Alain Delon) e i suoi tre fratelli Simone (Renato Salvatori), Ciro (Max Cartier) e Luca (Rocco Vidolazzi), con la loro madre (Katina Paxinou), raggiungono Vincenzo (Spiros Focás), l’altro fratello emigrato al Nord. In cerca di una vita migliore, questa famiglia, in apparenza salda e unita, si sgretola a contatto con la grande città.
“La storia di una madre e dei suoi cinque figli: cinque come le dita di una mano e poi c’entra la boxe”, così Visconti aveva descritto, nella primavera del ’58, l’idea all’amica sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico e a Vasco Pratolini. Da questo spunto e da elementi tratti dai racconti ‘Come fa, Sinatra?’ e ‘Il Brianza’ di Giovanni Testori, raccolti nel volume ‘Il ponte della Ghisolfa’ venne elaborata la sceneggiatura, cui collaborarono, dopo l’uscita di Pratolini impegnato nella scrittura de ‘Lo scialo’, Enrico Medioli e successivamente Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa.
Più di un anno di preparazione, tra sopralluoghi e un viaggio di studio in Basilicata, nel frattempo Visconti rompe con il produttore Franco Cristaldi, che vorrebbe Brigitte Bardot per il ruolo di Nadia, e grazie a Renato Salvatori, incontra Goffredo Lombardo, a capo della Titanus.

“Salutato alla sua uscita come il ritorno di Visconti al neorealismo – afferma il direttore della Cineteca di Bologna, Gian Luca Farinelli – in effetti non lo fu affatto. Rocco e i suoi fratelli è una tragedia in cinque atti, ognuno dei quali prende il nome da uno dei figli (Vincenzo, Simone, Rocco, Ciro, Luca), è l’esplorazione dei destini individuali dei cinque fratelli Parondi, dove ognuno sceglierà il proprio destino. Il tema della famiglia che si autodistrugge per una lotta fratricida, che sarà ampliato ne La caduta degli dei e in parte era presente in La terra trema, è uno dei centri del film e Visconti si occupò prevalentemente del contrasto drammatico fra Rocco e Simone e dell’uccisione di Nadia, svelando tutto il suo talento nelle scene madri, nelle opposizioni violente, nei dialoghi serrati, in particolare quelli tra i tre protagonisti, Simone, Rocco e Nadia, personaggi complementari, presenze tragiche, che esprimono costantemente la difficoltà di vivere al Nord, in una società disumana”.

Nel libro ‘Cronaca di un film’ di Gaetano Carancini (Cappelli editore 1960) così Luchino Visconti spiega le fonti del film: “Per Rocco e i suoi fratelli, una storia a cui pensavo già da molto tempo, l’influenza maggiore l’ho forse subita da Giovanni Verga: ‘I Malavoglia’, infatti, mi ha ossessionato sin dalla prima lettura. E, a pensarci bene, il nucleo principale di Rocco è lo stesso romanzo verghiano: là ‘Ntoni e i suoi, nella lotta per sopravvivere, per liberarsi dai bisogni materiali, tentavano l’impresa del ‘carico di lupini’: qui i figli di Rosaria tentano il pugilato e la boxe è il ‘carico dei lupini’ dei ‘Malavoglia’. Così il film si imparenta con La terra trema – che è la mia interpretazione dei ‘Malavoglia’ – di cui costituisce quasi il secondo episodio. A questa ‘ossessione’ determinata dalla maggiore opera dello scrittore siciliano si sono aggiunti altri due elementi: il  desiderio di fare un film su una madre che, sentendosi quasi padrona dei propri figli, ne vuole sfruttare l’energia per liberarsi dalle necessità quotidiane, senza tenere conto delle diversità dei caratteri, delle possibilità dei suoi ragazzi: per cui mira ambiziosamente troppo in alto e viene sconfitta, e poi mi interessava anche il problema dell’inurbamento, attraverso cui era possibile stabilire un contatto tra il Sud pieno di miseria e Milano, la modernamente progredita città del Nord. In queste mie necessità si sono poi inseriti altri motivi: alcuni risalgono alla Bibbia e a ‘Giuseppe e i suoi fratelli’ di Mann, altri s’identificano nella mia ammirazione per lo scrittore Giovanni Testori e il suo caratteristico mondo, e, infine, a un personaggio dostoevskiano che, per più aspetti, rassomiglia interiormente al Rocco del mio film: il Myskin dell’ ‘Idiota’, il rappresentante più illustre della bontà fine a se stessa (…) Sono tre momenti dello sviluppo del personaggio ‘la madre’. Quella di La terra trema era come ‘effacée’ dagli avvenimenti. Maddalena di Bellissima era aspra e tenera, e stretta parente della Rosaria di Rocco: anche lei usava sua figlia per raggiungere il successo e anche lei veniva sconfitta. Rosaria è una di quelle madri che, come Maddalena, crede nei propri figli quasi con la furia di una scatenata, anche lei è sconfitta e, in più di Maddalena, per la sua origine, recita sempre: recita la gioia e il dolore, quasi dilatando all’esterno i sentimenti che sente dentro (…)”.

Sempre il regista Visconti, nell’articolo ‘Oltre il fato dei Malavoglia’, pubblicato da ‘Vie Nuove’ nell’ottobre 1960, affermava: “La questione dei rapporti tra fratelli e tra figli e madre non mi ha certo interessato meno di quella che una simile famiglia provenisse dal Sud, fosse una famiglia meridionale. Operando questa scelta non mi sono limitato, però alla ricerca d’un materiale umano particolarmente suggestivo ma ho consapevolmente deliberato di tornare sul problema del rapporto tra Nord e Sud, così come può tornarvi un’artista il quale voglia, per così dire, non soltanto commuovere ma invitare al ragionamento. Si rifletta a questo: in un momento in cui l’opinione ufficiale che si tende ad accreditare è quella di un Mezzogiorno e di una Sicilia e di una Sardegna trasformati dalla presenza d’un maggior numero di strade asfaltate, di fabbriche, di terre distribuite, di autonomie amministrative assicurate, io ho voluto ascoltare la voce più profonda che viene dalla realtà meridionale: vale a dire quella d’una umanità e d’una civiltà che mentre non hanno avuto che briciole del grande festino del cosiddetto miracolo economico italiano, attendono ancora di uscire dal chiuso di un isolamento morale e spirituale che è tuttora fondato sul pregiudizio tipicamente italiano che tiene il Mezzogiorno in condizioni di inferiorità rispetto al resto della nazione (…)”.

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