Xavier Dolan: l’estetica del silenzio

Divide la critica Juste la fin du monde, il nuovo film del ‘ragazzo prodigio’ Xavier Dolan che un paio d’anni fa aveva incantato la Croisette con Mommy, che gli era valso anche il premio della giuria


CANNES – Gran Premio della giuria all’ultimo Festival di Cannes, dove aveva però diviso la critica Juste la fin du monde, il nuovo film del ‘ragazzo prodigio’ Xavier Dolan che un paio d’anni fa aveva incantato la Croisette con Mommy, che gli era valso anche il Premio della giuria. Un cast potente (Gaspar Ulliel, Marion Cotillard, Vincent Cassel, Lea Seydoux e Nathalie Baye), per questa reinterpretazione di una pièce di Jean-Luc Lagarce su drammi e irrisolti familiari, un modo di raccontare intenso, chiaramente con grande spazio ai dialoghi ma anche una regia serrata, che resta vicino ai volti degli attori e si lascia supportare da un uso della musica carico e a tratti barocco.

“Penso sia un film che si basa molto sul linguaggio – dice Dolan in conferenza – e quindi ci può essere anche qualche problema di comunicazione. Molto si basa sugli sguardi e sui silenzi, magari ci vuole un po’ di tempo prima che la gente si abitui ad ascoltarlo e capirlo, oltre che a guardarlo. Comunque, non è un problema, tutti i film dividono la critica. Secondo il mio modesto parere è la mia opera migliore, il che credo sia normale, dato che più vado avanti e più cerco di migliorarmi e mettere amore e passione in quello che faccio. Circa la musica, si tratta di musica che è realmente nella vita dei personaggi, viene suonata nel momento stesso in cui ha luogo la scena oppure è legata ai ricordi. Ne ho fatto un uso narrativo. Non era un modo di ‘fuggire’ dalla monotonia, era un rischio calcolato trattandosi di un testo teatrale, ma ho lavorato sul commento sonoro, così come sul montaggio e sulla fotografia, perché si avesse l’impressione di trovarsi di fronte a un film vero e proprio, e non solo alla riproposizione di quanto visto in scena. Sguardi, sospiri, è quello che fa la gente, piangere, esplodere, fuggire da pensieri gravi e dolorosi. Agli attori ho chiesto di esprimere tutte le imperfezioni degli esseri umani, di accettarle e di lavorarci. C’era talmente tanto materiale umano che ho sentito l’esigenza di avvicinarmi a loro anche con la macchina da presa, non potevamo privarcene. Amo la scrittura lineare ma poi sul campo tutto cambia, il montaggio è stato difficile, non volevo si perdesse nulla del lavoro enorme dei miei interpreti.

 “E’ una storia sublime – commenta Cotillard – sulla brutalità che possono acquisire i rapporti in famiglia e la difficoltà di esprimersi anche con persone care. Non vedevo l’ora di partire alla ricerca di questo personaggio. Ci sono attori che sanno esattamente come verranno fuori una volta filmati, Xavier lavora talmente vicino a noi che è come una tecnica di respirazione. E’ come se fossimo un solo corpo”.  “Xavier ti prende tra le braccia e ti accompagna – prosegue Seydoux – ha un modo di lavorare molto preciso ed essendo lui stesso attore la comunicazione risulta sempre molto fluida. Sono molto fiera di aver partecipato”. “Inizialmente la scrittura era molto precisa – conferma Cassel – ma poi al momento di lavorare ci ha lasciati estremamente liberi, è un lavoro molto stimolante”.  

   

19 Maggio 2016

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