Colonia, horror e dittatura

In sala da giovedì con Good Films, l'opera del premio Oscar Florian Gallenberger che racconta un episodio poco noto accaduto durante il regime di Pinochet in Cile


Fondamentalismo religioso e dittatura con effetti horror. E’ quello che racconta Colonia, firmato dal premio Oscar Florian Gallenberger, un thriller politico-storico pieno di ritmo. Al centro del film, in sala da giovedì con la Good Film, la storia di Lena e Daniel, giovane coppia che rimane implicata nel colpo di stato militare avvenuto in Cile nel 1973. Quando Daniel viene rapito dalla polizia segreta di Pinochet, Lena (Emma Watson) segue i suoi passi fin dentro un’area inespugnabile che si trova nel Sud del paese, Colonia Dignidad. Apparentemente è una missione guidata da un carismatico predicatore laico di nome Paul Schäfer ma, in realtà si tratta di un luogo orribile dal quale nessuno è mai fuggito. Lena, per amore, deciderà di entrare a far parte di questa setta al solo scopo di ritrovare il suo Daniel (Daniel Bruhl).

Cosa era Colonia Dignidad? Fondata nel 1961 dal predicatore laico tedesco Paul Schäfer e dai suoi seguaci, si trovava 300 chilometri a sud da Santiago del Cile, tutti gli abitanti erano prigionieri in una sorta di Stato dentro lo Stato, e vivevano secondo le regole autocratiche imposte dallo stesso Schäfer. Gli abitanti di questa colonia erano segregati per sesso. Proibiti tv, telefoni e calendari, obbligatorio indossare vestiti di foggia bavarese e cantare canzoni in tedesco. Sesso bandito e residenti forzati a prendere farmaci che riducevano il desiderio. Per mantenere la disciplina pestaggi e torture. Infine, furono rilevate anche molestie su bambini. Nel 1973 il generale Augusto Pinochet salì al potere e Schäfer gli permise di usare Colonia Dignidad come campo torture per i prigionieri politici. Solo quando Pinochet abdicò, nel 1990 arrivarono le accuse a Paul Schäfer che scappò in Argentina dove fu arrestato nel 2004.

“Ero uno studente delle scuole elementari – dice Florian Gallenberger – quando sentii parlare di questo posto in Cile, dal quale le persone non potevano fuggire, e dove vivevano prigioniere. Rimasi profondamente sconvolto”. E aggiunge: “Più tempo trascorrevo studiando i fatti storici e ascoltando le storie della gente, più volevo saperne sul microcosmo creato da Schäfer. E ho pensato così di raccontare la storia di un uomo e di una donna che, per caso, diventano membri di questa ‘comunità’ e che poi tentano di scappare”. 

Cr. P.
25 Maggio 2016

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