Premio Lino Miccichè al francese Les Ogres

La giuria degli studenti, presieduta da Roberto Andò, ha assegnato il Premio Lino Micciché per il miglior film del Concorso Pesaro Nuovo Cinema al francese Les Ogres di Léa Fehner


PESARO – E’ stata una giuria composta da universitari e allievi di scuole di cinema, presieduta da Roberto Andò a giudicare gli otto film in concorso alla 52ma Mostra di Pesaro. Sedici studenti provenienti dall’Università di Roma “La Sapienza”, dall’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, dall’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, dall’Università degli Studi di Salerno, dall’Università degli studi di Milano, dall’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, dall’Università degli Studi di Chieti e Pescara, ha assegnato dopo intense discussioni il Premio Lino Micciché per il miglior film del Concorso Pesaro Nuovo Cinema a: Les Ogres di Léa Fehner (Francia, 2015, 144’) con la seguente motivazione: “Per raccontare con efficacia le molteplici sfumature della vita, che prendono forma nella rappresentazione di un variopinto microcosmo; per la sua narrazione acrobatica e dinamica che avvolge lo spettatore in un girotondo di note, colori ed emozioni; per l’incisività dei dialoghi che restituiscono la malinconia dell’esistenza; per farsi specchio sognante dell’essenza artistica della natura umana”. Il film di Léa Fehner, in buona parte autobiografico, ci racconta le tensioni e gli amori, i tradimenti e le attese di una bizzarra compagnia di teatranti acrobati che girano la Francia mettendo in scena Checov dentro un tendone da circo. Un film definito felliniano dalla critica francese – è in questi giorni in sala con un buon successo – e che ha conquistato anche Pesaro per la sua energia vibrante. Tra i protagonisti di una vicenda corale, in cui recitano anche i genitori della regista, troviamo Adèle Haenel, giovane attrice appena vista a Cannes nel nuovo film del fratelli Dardenne La fille inconnue e vincitrice del Premio César come migliore attrice per il film The Fighters – Addestramento di vita di Thomas Cailley. Léa Fehner, classe 1981, è stata apprezzata alle Giornate degli Autori veneziane nel 2008 con Qu’un seul tienne et les autres suivront, che nasceva dal suo progetto di diploma alla Fémis. Da bambina viaggiava con il padre Francois e la madre Marion Bouvarel e con la sorella Inès, membri di una compagnia girovaga, erede delle tradizioni della commedia dell’arte, in tutto simile a quella raccontata dalla sceneggiatura scritta insieme a Brigitte Sy. Il film ha vinto anche il Premio del pubblico, votato dagli spettatori delle affollate proiezioni serali di Piazza del Popolo. 
 
Assegnate anche due menzioni speciali a Per un figlio di Suranga Deshapriya Katugampala (Italia, 2016, 74’): “per l’emozionante racconto di un’intimità che si impone sullo schermo come autentico ritratto sociale; per il suo verismo che sfuma in una seducente mappa simbolica; e per l’interpretazione della protagonista, che racchiude nei suoi affanni e nei suoi sguardi silenziosi la fatica del percorso verso una piena multiculturalità” (ne parliamo a parte) e a David di Jan Tesitel (Repubblica Ceca 2015, 78’): “per la sua coerenza stilistico-formale; per il suo sguardo audace sull’incomunicabilità dei sentimenti; per il suo attore protagonista in grado di far emergere con estrema verità la complessità del suo personaggio e ad imprimere al film una tensione psicologica sempre vibrante”.

David è un’opera prima che racconta con uno stile molto compatto il tentativo di liberazione dai legami familiari di un ventenne affetto da autismo. Sentendo di essere di peso al padre, che lo rimprovera continuamente, e al fratello, che è da poco andato a vivere con una ragazza, una sera scappa da casa e arriva a Praga. Ha pochi soldi in tasca, che presto finiranno, e non ha portato con sé nient’altro, neppure il telefonino. Tesitel descrive con asciutta partecipazione una vicenda che prende spunto da un fatto reale, come la fuga di casa di suo fratello, ma ci dà anche un ritratto agghiacciante della società contemporanea, dove sembra che la pietà sia morta per sempre sia nelle classi medie che tra gli stessi diseredati. Tanto che David si ritroverà a rifugiarsi dentro una cassonetto. Il giovane interprete, Patrik Holubà, dallo sguardo che non si dimentica, è attore di teatro e membro di una compagnia che lavora con persone affette da disturbi mentali. 

Cristiana Paternò
09 Luglio 2016

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