La musa Charlotte Rampling

L'attrice britannica è l'interprete del film di Andrea Pallaoro, in concorso alla Mostra. "Mi sono trasformata in Hannah grazie alla confidenza totale con il regista"


VENEZIA – Charlotte Rampling passa tra gli applausi sul red carpet di Venezia. Divertita da tanta attenzione l’attrice britannica, classe 1946, in rigoroso tailleur pantalone nero, ha giocato con i fotografi e ha esitato un po’ prima di cedere all’insistente vociare dei fan, avvicinandosi alle transenne per firmare autografi. E’ lei la protagonista assoluta di Hannah, quarto titolo italiano del concorso. Gli occhi dell’attrice, vista ne La caduta degli Dei di Luchino Visconti, hanno folgorato tanti anni fa Andrea Pallaoro, oggi 35enne, che da allora ha coltivato il desiderio di dirigere la musa di Visconti, Liliana Cavani, Lelouch e Ozon, l’anno scorso candidata all’Oscar per 45 anni di Andrew Haigh.

Per il film di Pallaoro, in cui è in scena dalla prima all’ultima inquadratura, si è messa letteralmente a nudo mostrandosi anche di schiena senza costume, nello spogliatoio della piscina. “Il mio vissuto, il mio bagaglio di esperienze, il mio corpo è tutto questo, le donne di una certa età hanno queste forme. Sono grata al cinema italiano ed europeo che mi offre l’opportunità di portarle sullo schermo. Il cinema di Hollywood faccia pure la sua strada puntando sulla gioventù”, ha detto ai giornalisti. Il suo legame con l’Italia è sempre stato intenso: “L’Italia – dice l’attrice inglese – è stata la mia rivelazione. Girai con Gianfranco Mingozzi nel ’68 Sequestro di persona e qualcosa accadde lì: un’insieme di luce, persone, lingua, architettura, modo di vivere, tutto lo stile italiano ha caratterizzato la mia vita creativa a cominciare dalla lezione di Visconti”.

Così racconta il suo processo creativo: “Mi è sempre piaciuto concepire la recitazione non come un’interpretazione. Per me è essere, diventare quel personaggio, avere una relazione ‘umana’ provando tutti i sentimenti di quel ruolo. Per me fare cinema è questo, avere una relazione intima con il tuo personaggio e sapergli dare umanità in quel processo caotico e frammentario che è il set e scegliere il copione anche per un ruolo piccolissimo sentendo che per me è una chiamata”. E ancora: “Questo personaggio vive tante emozioni, la colpa, l’umiliazione, la rabbia, una solitudine estrema, perché le persone la abbandonano ritenendola complice dei fatti avvenuti. Ma Hannah sa che la solitudine è un passaggio obbligato per diventare un’altra donna, anche perché l’alternativa sarebbe togliersi la vita”. E sulla concezione visiva rigorosa di Andrea Pallaoro, che sposa totalmente: “Racconta qualcosa a livello subliminale senza dirlo. Nel film c’è molto di nascosto e ognuno di noi può prenderlo come vuole”. 

“Mi sono trasformata in Hannah grazie alla confidenza creata con il regista – racconta – un’amicizia creativa, come la chiamo io. Lavorare con Andrea è stato molto semplice, tutt’altro che un salto nel buio con un giovane talento. Andrea mi fa sentire bene: un attore ha bisogno di questo sentirsi sostenuto”. E prosegue: “Con Andrea ci siamo intesi subito creativamente, poi sono passati tre anni dal nostro primo incontro, tre anni in cui siamo diventati amici parlando anche di altre cose in attesa di girare il film. C’è stata una sorta di maturazione come accade con il vino. Forse Andrea non era così sicuro di sé ma non ha mai dimostrato le sue titubanze e mi ha fatto sentire sicura”. 

Chiusura totale, invece, a una domanda sulla parità di genere nel cinema contemporaneo, che fa quasi finta di non capire. “Non vedo il problema… Io penso che le registe ora sono tante e hanno libertà nella realizzazione dei film. Se una donna vuole fare un film, lo fa”, taglia corto. Quanto alla sua erede cita un solo nome, quello di Marion Cotillard.

Cristiana Paternò
08 Settembre 2017

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