Due sotto il Burqa: ridere dell’integralismo si può

Arriva in sala la commedia di Sou Abadi che affronta il tema con una risata, conquistando il pubblico


Armand e Leila si amano e stanno pianificando di volare insieme a New York, ma pochi giorni prima della partenza, Mahmoud, fratello di Leila, fa il suo ritorno da un lungo soggiorno in Yemen, un’esperienza che lo ha cambiato… radicalmente. La sua fede mussulmana si è estremizzata e ora, ai suoi occhi, lo stile di vita della sorella è troppo moderno. L’unica soluzione è confinarla in casa e impedirle ogni contatto con il suo ragazzo. Ma Armand non ci sta e pur di liberare l’amata escogita un piano folle: indossare un burqa e spacciarsi per donna, con il nome di Shéhérazade. Quello che Armand non si aspetta è che la sua recita possa essere sin troppo convincente, al punto da attirargli le attenzioni amorose dello stesso Mahmoud.

Si ride parecchio in Due sotto il Burqa, sebbene amaramente, perché la regista di origine iraniana Sou Abadi non fa che raccontare i tragici tempi dell’estremismo religioso e del terrorismo internazionale sotto una luce diversa, che ricorda per certi versi quanto fatto da Benigni in La vita è bella con l’Olocausto. E’ una commedia degli equivoci, con travestimento e scambio di persona, che ha sbancato i botteghini in Francia e conquistato anche il pubblico del Biografilm.

Ora arriva in sala – il 6 dicembre con I Wonder Pictures – e la regista viene a presentarlo a Roma all’Istituto di Cultura Francese: “Io sono iraniana – dice – quindi so che c’è poco da ridere sulla presa di potere degli islamisti perché ho vissuto tutte le assurdità, le restrizioni sui vestiti e anche peggio, ma di film che ne parlano in maniera tragica ce ne sono fin troppi. Volevo che il pubblico passasse un buon momento, ridendo in maniera intelligente, e anche raccontare un po’ il punto di vista della Francia, dato che io paradossalmente sono scappata da una situazione e poi me la ritrovo in casa dopo trent’anni. Il pubblico mussulmano, ad ogni modo, ha accolto il film molto bene. Abbiamo fatto diciannove anteprime e sono spesso venuti a ringraziarmi, anche i praticanti, contenti che qualcuno mostrasse che le cose non sono bianche o nere e che i musulmani non sono tutti estremisti”.

Nel suo curriculum anche un documentario, S.O.S. Teheran del 2002, più un progetto abortito su una spia israeliana, sempre in forma di documentario. “Non ci penso più – prosegue – il suo fallimento mi ha portata sull’orlo della depressione, ma proprio scrivere questo nuovo film mi ha aiutata e ho deciso fin da subito che non mi sarei mai censurata. Ho dato importanza al ritmo e alla musica. Volevo che i personaggi parlassero velocemente, corressero e non avessero un attimo di tregua. E la musica apporta ancora humour. C’è una parte in cui Mahmoud ascolta una canzone jihadista. Esistono davvero. Tanto che all’inizio ne avevo utilizzata una vera ma non mi pareva il caso di chiedere i diritti ad Hamas. Così l’ho reinventata con un altro testo, che ho scritto io stessa”.

Nel cast Félix Moati, Camélia Jordana, William Lebghil.   

Andrea Guglielmino
30 Novembre 2017

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