Virzì a Los Angeles per Ella & John: “Non è un film americano”

Paolo Virzì è volato dall'Italia a Los Angeles, per promuovere il suo Ella & John-The Leisure Seeker. "Non lo considero un film americano, ma un film italiano in America"


“Ora faccio come Julia Roberts, vado a Rodeo Drive e mi compro qualche vestito”. Paolo Virzì è volato dall’Italia a Los Angeles, per promuovere il suo Ella & John-The Leisure Seeker, ma i bagagli sono andati persi. “E stasera ho la premiere”. Quella di andare a fare shopping potrebbe essere un’idea, Rodeo Drive è vicina, le interviste per la promozione del film si tengono proprio nel famoso hotel di Pretty Woman. Il film di Virzì, però, è lontano dagli stereotipi hollywoodiani (leggi il nostro articolo). “Non lo considero un film americano, infatti, – dice il regista – ho fatto un film italiano in America, mi sono portato la mia squadra, la fotografia di Luca Bigazzi, i costumi. Lo scenografo invece è americano, Richard A. Wright, avevo amato certi suoi piccoli film, i paesaggi languidi e malinconici”.

I paesaggi che servivano per questo viaggio, a bordo di un camper del ’73, da Boston a Key West, della coppia formata da Ella e John (Helen Mirren e Donald Sutherland), marito e moglie da cinquant’anni, lui ex professore di letteratura colpito dall’Alzheimer, lei lucidissima ma affetta da un tumore allo stadio terminale. Tratto dall’omonimo libro di Michael Zadoorian, The Leisure Seeker racconta una ribellione: alla quotidianità, alla sofferenza, alle cure mediche a ogni costo.”E’ una storia d’amore – continua il regista livornese – un amore che non è solo miele, ma è anche una sfida, un mistero, un segreto, un’ossessione. Forse mi sono immedesimato, ho visto me e mia moglie Micaela Ramazzotti finire la nostra vita così, in maniera gloriosa. E’ una storia romantica senza romanticismo. Una storia umana”.

In concorso alla Mostra di Venezia, il film ha visto Helen Mirren recente candidata ai Golden Globes. “Io e Luca Bigazzi – racconta – ci siamo detti: cerchiamo di essere invisibili, sentivo che potevano essere loro, due attori come Donald e Helen, a condurre le danze. Io avrei potuto rilassarmi e smettere di fare la ruota di pavone come i registi europei sono soliti fare. Potevo godermi lo show e per questo ho invitato questi due grandi a improvvisare, a costruire la coppia con piccoli gesti spontanei”.

A convincerlo a fare questo film in America è stato proprio Sutherland. Non a parole ma con l’entusiasmo. “Abbiamo scritto il copione quasi per gioco con Francesca Archibugi, Francesco Piccolo, Stephen Amidon. Poi ho pensato che gli unici attori con cui avrei voluto davvero realizzarlo erano Helen Mirren e Donald Sutherland. Donald mi ha voluto incontrare a Miami. Mi è venuto a prendere all’aeroporto, con un ingombrante SUV. Voleva dimostrarmi che era bravo alla guida. Sul sedile posteriore c’erano trattati sull’Alzheimer e libri di Hemingway. Conosceva già mezzo copione a memoria. A quel punto mi sono detto: E ora come faccio a dirgli che non so se lo voglio fare questo film?”.

Così l’avventura è partita, con il suo mix di creatività italiana e razionalità americana. “Subito – aggiunge – non è stato facile far capire alla parte americana della troupe che, anche se sul copione c’era scritta una cosa, avevo cambiato idea. Loro prendono il cinema molto sul serio, anche troppo forse. In Italia chi fa un film ha la sensazione di fare una zingarata, loro usano la stessa serietà di chi sta inventando la medicina che cura il cancro. Comunque alla fine ci siamo integrati bene ed è diventata una bella avventura. Pericolosa in qualche caso, come quando Donald Sutherland, che ha voluto a tutti i costi guidare davvero, imboccava strade non contemplate dal programma, traboccanti di traffico vero, con quel camper con i freni che non funzionavano benissimo. Alla fine delle riprese abbiamo fatto il migliore wrap-party di sempre. Eravamo semplicemente contenti di essere ancora vivi”. 

Cr. P.
10 Gennaio 2018

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