Scrittori veri e falsi. Huppert prende la femme fatale in contropiede

E' la giornata degli scrittori, alla 68esima Berlinale, declinati un po' in tutte le salse. Tra questi il thriller Eva con la grande attrice francese in un ruolo che fu di Jeanne Moreau


BERLINO – E’ la giornata degli scrittori, alla 68esima Berlinale. Declinati un po’ in tutte le salse, dal thriller con venature erotiche (Eva con Isabelle Huppert) al manifesto politico che aggiorna i temi della seconda guerra mondiale all’attuale emergenza migrazioni (Transit) alla biografia di uno scrittore maledetto capostipite della battaglia per il diritto dei gay all’amore (The Happy Prince su Oscar Wilde nella versione di Rupert Everett di cui parliamo in un altro articolo) al ritratto coerente di un autore dissidente perseguitato dal regime sovietico (Dovlatov di Aleksej German jr.).

Primo titolo tedesco a scendere in concorso Transit di Christian Petzold – tra i suoi film Barbara, Orso d’argento per la regia nel 2012 – percorre una strada originale, quella di ambientare nella Francia contemporanea una vicenda in realtà legata alla seconda guerra mondiale, quando Parigi era occupata dai nazisti. Il protagonista Georg (Franz Rogowski, tra l’altro una delle Shooting Stars) fugge dalla Capitale a Marsiglia su un treno merci e si ritrova in mano i documenti di un concittadino, un famoso scrittore che prima di morire aveva ottenuto il visto per il Messico. Ma lasciare il vecchio continente, dove chi vive senza permesso di soggiorno e carte in regola può essere denunciato da un momento all’altro, non è così facile anche perché significa lasciarsi alle spalle affetti vecchi e nuovi. Il film, tratto da un romanzo di Anna Seghers (1944), è abbastanza spiazzante e potrebbe piacere alla giuria guidata dal connazionale Tom Tykwer. 

È una vecchia conoscenza del festival anche Aleksey German Jr., figlio d’arte, che torna a Berlino tre anni dopo Under Electric Clouds con un film che conferma il suo stile visionario. Dovlatov, ambientato nella Leningrado del 1971, racconta sei giorni della vita di Sergej Dovlatov, grande scrittore russo dissidente nato a Ufa nel 1941 e morto a New York nel 1990. Il film ci mostra un giovane Dovlatov alle prese con editori che non vogliono pubblicare i suoi scritti, la cui ironia non è apprezzata dal regime.

Parla di scrittori ma sedicenti il deludente Eva di Benoît Jacquot, nuovo adattamento del romanzo di James Hadley Chase già portato sul grande schermo da Joseph Losey nel 1962 con Jeanne Moreau come protagonista. Stavolta c’è l’onnipresente Isabelle Huppert, con parrucca castana e labbra ben disegnate, nel ruolo di una prostituta d’alto bordo che diventa l’ossessione e la nemesi di un giovane drammaturgo (l’incolore Gaspard Ulliel). L’uomo, che faceva da badante a un autore britannico, si è impossessato della sua ultima pièce alla morte dell’anziano e l’ha portata al successo. E’ un impostore, dunque, alla ricerca di nuova ispirazione perché pressato dal suo editore. Eva, conosciuta per caso durante una tormenta di neve, sembra essere la fonte giusta per mettere in piedi un nuovo testo, ma il ragazzo non è in grado di condurre il gioco con la donna che resta psicologicamente impenetrabile. Jacquot ammette di aver visto il film di Losey nella prima adolescenza, proprio mentre stava maturando l’idea di diventare un cineasta. “Ecco perché quella storia e quel libro sono per da sempre legati alla mia voglia di farne un film e l’occasione si è finalmente presentata adesso”. Al sesto film con il regista parigino, Isabelle Huppert, dal canto suo, non si considera una femme fatale. “Eva è un personaggio atipico, è molto ambigua ma via via che il mistero su di lei si dirada, emerge il suo lato pratico. In un certo senso prende il cliché della femme fatale in contropiede”. Più che fatale è un’incarnazione della mera fatalità che si insinua nella più normale (e anche banale) delle vicende, con lei innamorata del marito in prigione e preoccupata per la sua ulcera. Huppert ha anche risposto a una domanda sul movimento #MeToo: “L’ho accolto con favore. Da sempre faccio cinema per parlare delle donne in ogni maniera possibile e sono contenta che ora queste cose vengano allo scoperto e siano dette in modo, spero, definitivo”. 

Cristiana Paternò
17 Febbraio 2018

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