Spielberg e la fantadistopia thriller

Ready Player One, tratto dal best seller omonimo di Ernest Cline, è un inchino dichiarato alla cultura pop anni ’80 e ’90


Ready Player One, tratto dal best seller omonimo di Ernest Cline, è un inchino dichiarato alla cultura pop anni ’80 e ’90. 

Uno slancio in avanti di 27 anni dall’oggi, non un lasso di tempo così distante, eppure “un altro mondo”, nello stretto senso del termine: siamo nell’anno 2045, inquinamento e popolazione sopra ogni livello di tolleranza. La sopravvivenza rimane possibile nell’immersione in un mondo virtuale, OASIS. S’inforca un visore ottico e immediatamente si varca la porta di un mondo parallelo: una dimensione in cui le persone possono continuare a condurre una vita quotidiana consueta, in forma di avatar di sé stessi. Un mondo democratico, multiculturale, in cui animali meccanici fantastici, cartoon animati e esseri umani convivono, si confrontano, si relazionano, insomma una società fatta e finita. Scomparso da poco James Halliday (Mark Rylance), creatore di OASIS, Wade (il ventiduenne Tye Sheridan, debuttante a 15 anni nel film Palma d’Oro, The Tree of Life e Premio Mastroianni per Joe), giovane membro del mondo virtuale e giocatore delle sfide create dallo stesso Halliday, ambisce al comando di OASIS, ma non è il solo: mentre con un gruppo di cinque amici cercano il tesoro di Anorak, per finalizzare la vittoria, una multinazionale si schiera con lo stesso obiettivo. Tra gli amici, anche la figura femminile Art3mis, Samantha (Olivia Cooke), profilo fondamentale per l’avventura reale e virtuale del protagonista, colei che da una parte si dimostra spesso la chiave di volta delle situazioni dell’oasi oltre il visore, per una propria energia e intelligenza sottili, ma altrettanto imprescindibile portatrice di sentimento umano, senza eguali seguendo la filosofia di fondo del film, il costante specchiamento tra realtà e virtualità, seppur il confine sembri non poco labile.

Lo scrittore e cosceneggiatore Ernest Cline prima e Spielberg poi s’immergono, narrano e plasmano l’immaginario videoludico tipico degli anni ’80 e ‘90, uno per tutti Pac-Man. Non fa mistero, l’autore Cline, di essere appassionato di videogame, e qui fa un collage tra gli stessi e la scrittura creativa, preso per mano dalla direzione personale e riconoscibile di Spielberg. “Questo non è un film d’autore. Questo è – ha dichiarato il regista – un film d’intrattenimento. È un film che deve essere visto sul grande schermo, perché l’abbiamo realizzato con l’ambizione di riempire al massimo gli schermi”. E’ infatti un film che per il mastodontico involucro fantascientifico, e quindi di effettistica e tecnologia, pretende giustamente il grande schermo, che altrimenti farebbe soffrire la visione, in particolare in alcune sequenze, come l’adrenalinica corsa alla conquista della prima chiave d’accesso, serpeggiante in una New York ricostruita fedelmente al dettaglio, riconoscibile addirittura da “banali” insegne luminose e curve di strade che s’insinuano nella zona del porto. Ready Player One, prima di approdare nelle mani di Spielberg, ha un trascorso di proposte ad altri autori, tra cui Christopher Nolan, Robert Zemeckis e Peter Jackson, questo dopo l’acquisto dei diritti del romanzo di Ernest Cline da parte di Warner Bros, nel 2010. Non era ancora stato pubblicato il libro, che già la distribuzione americana si era assicurata la licenza per un adattamento per il grande schermo. È il 2015 quando Spielberg accetta la regia: l’ultima sua curata per Warner Bros fu A.I. – Intelligenza Artificiale (2001).

Le riprese sono iniziate nell’estate 2016, con la volontà espressa dello stesso regista di omettere e smussare la più parte dei riferimenti, propri del romanzo, che esplicitamente omaggiavano il suo universo cinematografico precedente. Il film rimane comunque un’antologia che si inchina con onore ad un ampio spaccato della cultura pop, da Jurrasic Park a King Kong, da Hello Kitty a La febbre del sabato sera.

Un kolossal di fantascienza, un luna park per il mondo nerd, ma a dispetto di una spettacolare superficie “di genere”, il film ha invece un pregno substrato narrativo, in cui la proposta e la discussione del concetto di “realtà” non sono solo un flebile pretesto ma pongono fini, drammatiche e decise questioni sul limite tra la giusta fuga ludica, quando momentanea, e la consapevolezza della vita vera, nonché la cura della stessa, sia del globo terrestre che dell’essere umano che ne garantisce, o determina, la sopravvivenza e la vita. Alla colonna sonora Alan Silvestri, creatore delle iconiche sonorità di Ritorno al futuro, dopo che Spielberg aveva però sondato il terreno con l’anziano John Williams. Il primo trailer è stato presentato al Comic-Con di San Diego nel luglio scorso, seguito dall’anteprima mondiale al South by Southwest, lo scorso 11 marzo: il film esce in Italia il 28 marzo, distribuito da Warner Bros. in 2D e 3D.

Nicole Bianchi
20 Marzo 2018

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