Saverio Costanzo, quando il cibo diventa horror

In concorso a Venezia 'Hungry Hearts' con Alba Rohrwacher e Adam Driver, storia di una giovane coppia di genitori e dell'ossessione per il cibo


VENEZIA – Il quarto film di Saverio Costanzo è un’immersione verticale nei fantasmi e nelle ossessioni di una giovane coppia di fronte alla nascita di un figlio. Un bambino speciale, come pensa la mamma Mina (Alba Rohrwacher), convinta di doverlo proteggere dalla contaminazione del mondo, tenendolo lontano dai raggi del sole e nutrendolo solo con semi e verdure. Ma il padre Jude (Adam Driver), pur molto innamorato, inizia a dubitare di queste scelte e quando un medico, da cui è andato di nascosto, gli spiega che il neonato rischia gravi conseguenze per la malnutrizione, esplode una battaglia all’interno della coppia in cui viene coinvolta anche la madre di lui (Roberta Maxwell), pronta a tutto per “difendere” il nipote. Girato in gran parte ambienti claustrofobici con forti accenti da horror, Hungry Hearts trasporta la vicenda narrata nel romanzo di Marco Franzoso, Il bambino indaco (Einaudi), a cui il film si ispira, dall’Italia a New York, esasperandone la rarefazione e l’atmosfera da incubo. Applaudito dai giornalisti al Lido, dove è in concorso, il film uscirà in sala con 01 il 15 gennaio 2015.

Costanzo, cosa l’ha avvicinata a questa storia dopo “La solitudine dei numeri primi”?
Ho letto il libro, che inizialmente mi ha respinto pur attraendomi. Un anno e mezzo dopo mi sono riavvicinato e ho iniziato a scrivere, cosciente del rischio di morbosità e della necessità di una drammaturgia forte. Ho provato a scrivere senza giudicare questi tre personaggi, la madre, il padre e la nonna, guardandoli con dolcezza. Attraverso di loro ho potuto osservare anche il mio ruolo di padre con minor senso critico e con maggior passione. È stato un film catartico anche per la mia storia personale. Ma tutto questo senza alcun ragionamento, in modo istintivo.

Ha incontrato Marco Franzoso?
Mai incontrato, ci siamo scritti solo dopo che ha visto il film.

Perché ha spostato la vicenda a New York raccontando l’amore tra un’impiegata dell’ambasciata italiana e un ingegnere americano dal loro primo incontro casuale fino al matrimonio e alla maternità?
Non è che volessi fare l’americano… Volevo mostrare l’isolamento totale del personaggio di Mina in una città violenta. Ho abitato io stesso a New York e provavo sentimenti molto simili, a volte era come combattere una battaglia. È una città che non si fa dimenticare, dove se hai i soldi tutto è facile, ma se hai meno mezzi tutto è complicato.

Mentre le due figure femminili, materne, appaiono come fortemente disturbate, il padre sembra avere un maggiore equilibrio nel rapporto col piccolo.
È un padre come oggi ce ne sono tanti, che collabora alla vita familiare e si occupa del bambino. Ed è un uomo innamorato – vorrei sottolineare che il film è una storia d’amore. Anche Mina ama, ma il suo è un amore che non riesce a contenere, anche la nonna è così… Il film racconta i due personaggi nello spazio in cui diventano genitori, cosa non facile.

Non vede in Mina una persona disturbata, ai limiti della follia?
Non ho mai pensato che Mina fosse pazza né che potesse fare del male al bambino, lei era il nostro eroe e dovevamo raccontarla fino in fondo. Verso la fine del film porta il bambino sulla spiaggia, per lei è un mettere i piedi per terra, l’inizio di un cambiamento, poi la vita interviene.

Come ha scelto Adam Driver, che vedremo protagonista di “Star Wars Episode VII” accanto a Harrison Ford e nel nuovo film di Scorsese “Silence”?
L’avevo visto in Girls e il nostro è stato un grande incontro. Lui ha un’idea della recitazione molto autentica.

L’ossessione per il cibo è molto contemporanea  e condivisa da tante persone in varie forme, senza arrivare a quelle più estreme.
Tutti noi non facciamo altro che domandarci che cosa mangiare. Forse sentiamo che il mondo fuori è tossico, ma questa è sociologia ed essendo sociologo di formazione vorrei evitare discorsi troppo generici. Quanto a me, mangio tutto e amo molto anche il Big Mac, devo dire che porto i miei figli una volta al mese da McDonald’s.

Pensa che i vegani si sentiranno colpiti nel vivo? Che ci sarà qualche polemica?
Uno psicologo recentemente invitava le mamme vegane ad essere compassionevoli verso le nonne che qualche volta danno un omogeneizzato di carne al bambino. Questo perché spesso chi fa scelte radicali diventa come sordo, si irrigidisce. La radicalità senza senso dell’umorismo, l’ideologia ferrea ha ucciso milioni di persone, bisogna anche avere cuore e amare se stessi. Ma questo film non è contro niente e nessuno.

Ha rielaborato il personaggio della nonna, interpretata da Roberta Maxwell, vero?
 
Nel libro il personaggio della nonna era molto italiano, io l’ho un po’ indurito e reso più americano nella sceneggiatura, ma poi l’ho adattato a Roberta e l’ho di nuovo addolcito. Questa donna, che ha avuto un marito cacciatore, è scaltra, intelligente, e convinta di essere nel giusto. Forse è stata una madre poco sollecita e adesso si prende una rivincita sul nipote.

Aveva qualche film di riferimento girando?
No, se non un approccio spregiudicato alla Cassavetes: i suoi film erano azioni di ribellione a quel sistema che lo nutriva. Il film procede come se le scene fossero strappate, come se dicessi allo spettatore: hai visto abbastanza, ora andiamo avanti.

Il film ha un budget relativamente ridotto e uno stile che lo può accomunare al cinema indipendente americano.
È coprodotto da Wildside con Rai Cinema, ma essendo a basso budget, girato in quattro settimane, c’è stata maggiore elasticità da parte della Rai. Ho girato in 16 mm e continuerò il più possibile a usare la pellicola, è una linea seguita da alcuni registi, tra cui ad esempio Alice Rohrwacher. Sono stato l’operatore del film, non è il mio mestiere, ma questo mi ha permesso di trovare una maggiore autenticità e anche gli errori sono funzionali.

Cosa pensa del cinema d’autore italiano?
Amo le cose forti e devo dire sinceramente che tanta roba non mi piace, ma ci sono una decina di autori che seguo. La crisi, per quanto nefasta, ha aiutato a fare una selezione. Anche Hungry Hearts è frutto della crisi. Rimbocchiamoci le maniche. Fare un cinema libero è un privilegio ma ci si deve prendere la responsabilità e il cinema italiano spesso non lo fa. 

31 Agosto 2014

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