Roy Andersson: non associatemi a Bergman che non ha umorismo

Il regista svedese porta in Concorso 'A Pingeon Sat on a Branch Reflecting on Existence', film tragicomico con protagonista una coppia di venditori di scherzi e travestimenti per divertire le persone.


VENEZIA. “Vedo A Pingeon Sat on a Branch Reflecting on Existence come un film comico dall’inizio alla fine, emozionante e edificante. Ma di quando in quando, il pubblico assisterà anche a delle esplosioni di terrore. Sarà un’estensione di sentimenti che vanno dall’ironia all’orrore”. Così il regista svedese Roy Andersson parla della sua tragicomica opera (in Concorso) che alla struttura narrativa abituale sostituisce una serie di lunghe inquadrature a camera fissa, raffinate e curate nei minimi dettagli sia dal punto di vista scenografico e compositivo. Tutto per mostrarci le miserie e gli egoismi umani, l’assurdità e la meschinità di certi comportamenti, l’assenza di solidarietà e l’indifferenza diffusa.

A guidarci in questo ironico viaggio nei destini umani sono Sam e Jonathan, una coppia di tristi e malinconici venditori di scherzi e travestimenti per far divertire le persone, dei moderni Stanlio e Ollio, uno più sicuro di sé, l’altro piagnucoloso. E tutto il tono del film è già nei tre iniziali esilaranti quadretti di morte in ambienti asettici e freddi: un uomo muore di infarto tentando di aprire una bottiglia di vino con tutte le sue forze, mentre la moglie ignara prepara la cena in cucina; un’anziana sul letto di morte stringe a sé la borsetta piena di gioielli, mentre i figli cercano di recuperarla dalla sua stretta; un passeggero muore nel self service di una nave, dopo aver pagato e la cassiera chiede ai presenti se qualcuno vuole quel pranzo.

Lei ha scelto una narrazione atipica…
Non lineare, anche se in passato ho realizzato film tradizionali. Trovo noioso guardare opere che raccontano magari storie con happy end. Mi interessa parlare di noi, della nostra esistenza e dunque avere uno sguardo sulla vita quotidiana che è più ricco. Traccio dei dipinti, partendo dalla vita.

Che rapporto ha con la pittura?
Traggo molta ispirazione dalla sua storia. Lo stile di Otto Dix, che ha vissuto la tragedia della Prima Guerra Mondiale, mi ha molto influenzato: nei suoi quadri è chiaro il focus. Nella parte iniziale della mia carriera utilizzavo campi lunghi senza mettere a fuoco un punto particolare dell’immagine. Ora non uso più questo stile. In genere nei film ci si concentra sulla narrazione e non sulla qualità visiva.

C’è qualche altro pittore che ama particolarmente?
Brueghel il Vecchio con i suoi quadri di vita normale dei contadini olandesi che possono essere  contemplati per ore. Gran parte del cinema non riesce a raggiungere quella qualità visiva, tante sono le ombre.

Il suo è un forte atto d’accusa della stupidità dell’uomo.
Spesso l’essere umano manca di empatia, ecco perché è avvenuto l’Olocausto. Io amo la vita ma ci sono alcuni lati umani che odio.

Il suo cinema sembra avere un carattere atemporale e universale, al di là del paesaggio urbano svedese.
Non vedo barriere tra i vari periodi della storia, perciò mescolo in questo film passato e presente. Nonostante le differenze geografiche, gli uomini sono simili, hanno una comunanza di sentimenti, perciò dobbiamo avere rispetto di tutti noi.

Nel suo film emerge forte la solitudine dell’uomo, c’è qualcosa di bergmaniano?
Alla fine degli anni ’60 frequentavo la Scuola svedese di cinema e preside era proprio Ingmar Bergman. Un giorno io e altri studenti siamo scesi in piazza a riprendere la protesta giovanile contro l’intervento americano in Vietnam e Bergman ci ha detto di non realizzare un lungometraggio su temi politici. Era un avvertimento. Può darsi che lo spettatore trovi analogie con alcuni suoi aspetti, ma certo non era dotato di umorismo e qui sta la grande differenza tra lui e il sottoscritto.

Uno dei pochi personaggi positivi del film è Lotte la zoppa…
Si richiama a una vecchia canzone svedese che parla di una donna generosa che ai clienti poveri della sua locale che non possono pagare la grappa chiede, in cambio di un bicchiere, baci.

Perché ha inserito l’episodio di re Carlo XII, dichiaratamente gay, che va in guerra?
Ha sempre rappresentato un simbolo machista per i politici di destra, lo identificano con il potere. Finora nessuno aveva mai osato citare la sua omosessualità, perché invece non dirlo apertamente, facendone un simbolo più onesto?

Sono vere le scosse che la scimmia subisce nella sequenza in cui è vittima della sperimentazione?
No assolutamente, non utilizzerei mai un animale vivente per mostrare quanto sia crudele la sperimentazione animale. E’ terribile l’uso che viene fatto di altri esseri viventi. Questa scena e quella che rimanda alle nefandezze del colonialismo, il grande cilindro infuocato che contiene i prigionieri africani, sono anticipate dalla didascalia ‘Homo sapiens’ per ricordarci di quali cose terribili siamo capaci.

Stefano Stefanutto Rosa
02 Settembre 2014

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