Kevin Costner: nonno per amore

Kevin Costner porta al Festival di Roma nella sezione Gala il film Black & White, da lui prodotto e interpretato al fianco di Octavia Spencer (premio Oscar per The Help)


Con Black or White, in uscita il 5 marzo con la Good Films, Mike Binder dirige due ore nette di sentimento puro – un po’ anni ’90, come ai tempi di The Bodyguard – ma stavolta l’amore non è quello di coppia ma quello tra un nonno e una nipote. Costner è Elliott Anderson, un avvocato che assieme a sua moglie si prende cura della nipotina afro-americana dopo che la sua mamma è morta di parto. Suo padre Reggie, invece, è uno sbandato, che si autodefinisce “negro di strada” e non sa rinunciare a droga e dipendenze di ogni genere. Quando la moglie di Elliott muore tragicamente in un incidente, i membri della famiglia di Reggie, capeggiati dalla nonna Roweena (Spencer) desiderano riprendersi la custodia della bimba e portano Elliott in tribunale, facendo leva in primis sulla ‘questione razziale’ e accusando Elliott di avere pregiudizi etnici, per ottenere ciò che vogliono.

Negli Usa il problema del razzismo è ancora molto sentito?
E’ una questione assai delicata. Io personalmente faccio tante esperienze e devo dire che i momenti più belli della mia vita li ho condivisi con persone con cui non avevo in comune nemmeno la lingua. Il punto è che siamo un paese di ex schiavisti, abbiamo pagato molto duramente il prezzo di ciò che abbiamo fatto. Non sono così intelligente da saper dare risposte, ma ho provato a fare un film autentico, che non parlasse di razzismo ai tempi della schiavitù ma affrontasse il problema per come è vissuto oggi.

Lo ha dovuto produrre da sé…
Ne ho parlato con mia moglie e abbiamo convenuto che si doveva fare. I grossi studios non pensavano che questa storia potesse fare soldi ma io non sono d’accordo, penso che abbia molte possibilità di successo. Parliamo di razzismo ma anche con molto calore e umorismo. Dove c’è un sorriso non ci può essere troppa sofferenza.

Ha fatto piangere tante persone con i suoi film sentimentali, ma è stato anche un punto di riferimento per l’action. Come sceglie i ruoli?
L’approccio è sempre differente. Personalmente non ho mai tentato di costruire la mia carriera su un genere piuttosto che su un altro. Forse questo è un modo più intelligente di fare affari perché se ti specializzi poi il pubblico ti conosce per quel genere specifico e sa già che film vedrà quando ci sei coinvolto. Invece quando c’è il mio nome in cartellone i distributori si mettono le mani nei capelli e dicono ‘Oddio, cos’avrà combinato stavolta?’. Voglio essere libero di fare film grandi o piccoli. E quelli che non vuole fare nessuno, li faccio comunque, da me. La vita ti dà solo una chance di fare una cosa ed è importante coglierla al momento giusto.

Si è ispirato a suo nonno per il ruolo di Elliott?
Ho avuto un nonno importante ma la sua è una storia del tutto diversa. Elliott ha perso ben due donne di famiglia e lotta per mantenere l’ultimo legame che ha con queste due persone care, ovvero sua nipote. Se sai per cosa batterti, sai anche cosa devi fare.

Lei è anche papà di sette figli, oltre che apprezzato musicista country…
Ho l’opportunità di poter fare molte cose nella vita: recitare, fare musica, viaggiare. Ma tutto questo può fermarsi quando voglio. Quello che non può fermarsi è la responsabilità di essere papà. Un papà non si ferma mai. Voi magari pensate che io lavori tanto ma quando sono a casa posso stare con i miei figli a tempo pieno, non devo uscire per andare in ufficio tutte le mattine, quindi li frequento parecchio. Li porto a scuola e li vado a riprendere, mi tocca fare da paciere perché non si prendano a sberle. Gioco tutti i giorni con la piccola che ha quattro anni e sta in fissa per Frozen, il film della Disney. Ci fa il gesto magico e tutti ci dobbiamo congelare in una posizione specifica. Essere un attore famoso è insolito e ci sono tanti vantaggi, mi trattano bene ovunque vada (o quasi), con grande rispetto, mi offrono il meglio del loro tempo e delle loro città. Stasera occuperò una stanza bellissima. Riconosco tutti questi vantaggi e li apprezzo. Calcolate che io non vengo da una famiglia di gente famosa. Anzi erano piuttosto poveri e quando dissi a mio padre che volevo fare l’attore, gli prese un colpo. Perché non sapeva come aiutarmi e, credetemi, se c’è una cosa che accomuna tutti i padri del mondo, è il desiderio di voler dare una mano ai propri figli. Ho passato momenti duri ma sono veramente grato per tutto quello che mi è accaduto poi. Però la mia vita a casa è assolutamente normale. Non ci sono telecamere, non ci sono microfoni. C’è solo il “dramma” della mia bimba fissata con Frozen. Qui a Roma invece ho portato la mia figlia ventottenne, che canta anche nel film.  

Che effetto le fa ricevere premi?
Pensate che per uno nella mia posizione magari non sia una cosa importante, ma non è così. Mi hanno dato il Golden Globe ed è stato entusiasmante, ho potuto portare mia moglie alla serata ed era vestita in maniera divina. Quando siamo tornati in camera abbiamo subito provato a fare un altro figlio.

In Italia è comparso in vari spot pubblicitari. L’ha imparato un po’ di italiano?
No, è troppo difficile. Però ho una copia del poster italiano di Balla coi lupi in camera, è veramente molto bello. Me lo sono fatto incorniciare.

Che succede all’industria americana? Perché un attore apprezzato come lei è costretto a prodursi da solo i film che vuole fare?
Oggi tutti vogliono fare film con budget altissimi, arrivano a costare anche 150 o 200 milioni di dollari. E va bene che ci siano queste grandi produzioni, ma io sono convinto che nel cuore di chi ama il cinema ci sia ancora spazio per chi predilige prodotti più piccoli. Oltretutto, budget minori non significa incassi minori. Sapete quanto è costato Balla coi lupi? 16 milioni di dollari. Ne ha incassati 500. Bull Durham 6 milioni, ne ha incassati 200. Tutti i miei successi erano film piuttosto piccoli. Vorrei che Black & White fosse visto e che arrivasse il suo messaggio al cuore della gente. Ci si surriscalda sempre quando si parla di razzismo ma c’è un concetto nel film molto chiaro, che spero aiuti a superare questa impasse.

Cioè?
Se vediamo una donna non particolarmente attraente, in un angolo, da sola, durante una festa, pensiamo “è timida”. Se vediamo una bella donna, curata, da sola, in un angolo, durante una festa, pensiamo “è snob”. Si sente superiore e non vuole parlare con nessuno. E nessuna delle due ha spiccicato una parola. Perché? Perché viviamo di impressioni. Lo stesso vale per la razza. Se io vedo una persona di colore diverso dal mio me ne accorgo, inutile negarlo. Abbiamo un feeling a riguardo e basandoci su come siamo cresciuti diamo giudizi. Spesso sbagliando. Non c’è niente di male nella vita a guardare una persona e accorgersi che appartiene a una certa razza. Non è il primo momento quello che conta. Contano il secondo, il terzo, il quarto, ovvero i momenti in cui si conosce la persona e si comincia a definirla per quello che è.

Lei è stato vittima di pregiudizi? Molti pensano che un uomo bello non possa essere intelligente, e lei è stato un sex symbol…
Se sei alto e di bell’aspetto tendono a pensare che non hai cervello, e che sei solo fortunato, è innegabile. Però guardate mia moglie, è bellissima e questo mi ha attratto, ma poi mi sono innamorato della persona magnifica che è. Quanto a me, io non sono davvero poi così intelligente, e mi sento fortunatissimo.

Andrea Guglielmino
24 Ottobre 2014

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