Costanza Quatriglio: dalla Triangle a Barletta, morire di lavoro

A cent'anni di distanza due casi di morti sul lavoro hanno ispirato il film di Costanza Quatriglio 'Triangle', che dopo l'anteprima a Torino sarà distribuito da Luce Cinecittà


TORINO – Due casi drammatici di morti sul lavoro a cento anni di distanza: l’incendio della fabbrica Triangle, a New York nel 1911 all’ottavo piano di un edificio del centro cittadino in cui 150 operai, soprattutto donne, restarono intrappolati; e il crollo di una palazzina a Barletta nel 2011, cinque operaie tessili persero la vita, una sola fu tratta in salvo dalle macerie. Coincidenze e rispecchiamenti, storie di lavoratrici senza diritti, due epoche storiche quasi opposte che la regista di terramatta ha trattato con uno stile che fa parlare i materiali di repertorio, contrappuntati dalle musiche di Teho Teardo: sono spezzoni del Luce, dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, di archivi americani, e c’è l’audio originale delle testimonianze di tre superstiti dell’incendio del 1911, registrato alla fine degli anni ’50 e conservato presso la Cornell University.

Prodotto da DocLab e Factory Film con Rai Cinema e Luce Cinecittà, Triangle sarà distribuito da Luce nel 2015 dopo l’anteprima al Torino Film Festival nella sezione Diritti & Rovesci.

Cosa ha visto nel parallelo tra queste due epoche? Come è cambiata la condizione operaia?
Nel 1911 tutto era una promessa, anche il cinema lo era. C’era una civiltà che si stava affermando, con le città industriali, le fabbriche come luoghi in cui si costruivano nuovi equilibri sociali. Quindi tutto è cambiato, anche se non è cambiato niente in termini di condizione esistenziale del lavoro nel rapporto dell’uomo, o della donna, con la macchina. Però cent’anni fa c’erano delle promesse e qualcosa che poteva essere mantenuto, si partiva da lì per acquisire diritti, erano tempi di lotte, di sindacato nascente, si stava mettendo a fuoco chi fosse la controparte, oggi tutto questo non c’è più. E resta il senso di schiavitù.

Cosa ha cercato nel materiale d’archivio con cui si era già confrontata in terramatta affinando sempre più il dialogo tra il repertorio e la creatività dell’autrice che lo rilegge?
Col materiale di archivio dei primi anni del Novecento ho cercato di restituire lo stupore proprio dell’infanzia del cinema. In quegli anni insieme al cinema nascevano le città industriali. Tutto era gigantesco e miracoloso. Questa verticalità che è alla base dei rapporti di forza del capitalismo, che sono tutti maschili, è crollata e insieme al crollo di quella civiltà è crollato un equilibrio. Alla fine rimane una donna operaia, Mariella Fasanella, l’unica sopravvissuta al crollo di Barletta, che assume su di sé la responsabilità di ricominciare da capo. Il suo punto di partenza è il valore dell’essere umano che si esplica nella capacità di fare bene il proprio lavoro, con concentrazione e senza sbagliare.

Cosa pensa della collocazione del film nella sezione Diritti & Rovesci, che tra l’altro raccoglie cinque lavori di donne (a parte una co-regia)?
Non ho visto gli altri film, ma la questione del rovesciamento nel mio caso è ontologica, perché il film racconta un ribaltamento della questione dei diritti. Il fatto che ci siano film diretti da donne che raccontano i diritti mi fa dire che forse è naturale che le donne nel cinema italiano si siano occupate di questioni spinose.

Ha giocato con i materiali d’archivio raddoppiandoli in un continuo rispecchiamento, come in un caleidoscopio, nel fotogramma anamorfico.
Volevo rendere lo stupore dello sguardo dei primi del Novecento. Come fare? Attraverso questo gioco con l’archivio che rappresenta il gioco del cinema e non è un gesto automatico, possiamo ragionare sul linguaggio. Poi volevo restituire la verticalità senza tradire il formato dell’epoca che è 1:33 e che avrei dovuto tagliare sopra e sotto, amputandolo, invece così lo amplifico.

La città di Barletta invece viene rappresentata a un anno dal lutto con immagini che lei ha girato mettendo in rilievo lo squallore dell’ambiente.
La chiave visiva del film è la relazione tra la magnificenza di New York e il depauperamento del paesaggio urbano. Per me Barletta è una città qualsiasi, una città vuota in cui lo sguardo va verso un azzeramento. Avrei voluto fare una ripresa dall’alto del buco rimasto dopo il crollo ma non è stato possibile per problemi produttivi.

In queste settimane si parla molto del Jobs Act e delle sue possibili conseguenze. Il film ha da dare una lezione al mondo della politica o del sindacato?
I sindacati hanno lasciato a casa due generazioni di lavoratori. Chi è nel mondo del lavoro o cerca di entrarvi non ha idea di cosa significhi condivisione della propria condizione. Queste generazioni sono cresciute in isolamento e con un senso di solitudine che impedisce loro di percepire i propri diritti perché manca il confronto e la possibilità di dialogare per trovare soluzioni. Ci si ritrova con le parole di Mariella ad affidarsi solo alla propria capacità di lavoro. Invece serve una tutela. Questo film, dal punto di vista del sindacato, fa male e mi auguro che il sindacato se ne renda conto.

Mariella dice che il fatto che le operaie lavorassero in nero non ha niente a che vedere con la loro morte, che sarebbero morte lo stesso anche se avessero avuto un contratto.

Quando sono andata a fare i sopralluoghi a Barletta per la prima volta, subito mi è stata detta questa cosa: il palazzo sarebbe crollato lo stesso, senza considerare che l’impianto era in uno scantinato in una palazzina del centro storico. Con quel crollo è crollata una civiltà, è il sistema che è imploso. E Mariella lo dice con parole semplicissime. Nella scena in cui in parrocchia fanno vedere Le mani sulla città di Francesco Rosi si capisce come sia necessaria una comunità che possa elaborare quel lutto – e solo la parrocchia è comunità in quel caso – perché il film di Rosi raccontava la speculazione edilizia che mangiava il territorio e faceva capire a tutti che queste cose possono accadere e faceva riflettere su come accadono.

Mentre l’incendio del 1911 ha portato a una nuova legislazione sulla sicurezza sui luoghi di lavoro in America il crollo del 2011 non ha portato a niente.
È così. Oggi Mariella Fasanella non ha ancora trovato un lavoro in regola. Con tutto il suo saper fare, la sua intelligenza e il suo coraggio nell’affrontare quello che le è successo.

Cristiana Paternò
26 Novembre 2014

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