Davide Maldi: il frastuono interiore di adolescenti di provincia

'Frastuono', il secondo italiano in Concorso a Torino 32, è un docufilm dai dialoghi spesso assenti, pieno di silenzi dove il fragore è soprattutto quello interiore dei due adolescenti protagonisti


TORINO. Nonostante il titolo, Frastuono, il secondo italiano in Concorso a Torino 32, è un docufilm dai dialoghi spesso assenti, pieno di silenzi dove il fragore è soprattutto quello interiore dei due adolescenti, osservati nella vita quotidiana in provincia. Iaui e Angelica, sono protagonisti non di una trama o di una storia, ma di un passaggio d’età reso per immagini e suoni.
Lui vive in una comunità delle montagne pistoiesi e frequenta il liceo artistico. E’ appassionato di musica e compone brani techno lisergici. Lei abita a Pistoia in una casa borghese, è una punk-rock  che canta in una band e fin da piccola ama filmarsi. Il cambiamento arriverà lontano da casa, a Berlino. Per Iaui e Angelica la musica è un’occasione per essere trasgressivi, irrequieti e anticonvenzionali, comportamenti tipici dell’adolescenza.
Quell’età che gli autori di Frastuono – i poco più che 30enni Davide Maldi che è anche regista dell’opera, Nicola Ruganti, insegnante in un istituto superiore e Lorenzo Maffucci, musicista – provano a raccontare “con la massima onestà e delicatezza, senza idee preconcette”. Tentano di mostrare “dal di dentro” l’adolescenza, una materia sfuggente e fragile, l’osservano a debita distanza, cogliendone i mutamenti improvvisi o inattesi.
Il film indipendente e a basso costo, realizzato in circa 3 anni e mezzo, è stato prodotto da Invisibile film e Rai Cinema, con il contributo della Toscana Film Commission.

Frastuono nasce dall’unione di due progetti paralleli?
Davide Maldi. Sì, entrambi, il mio e quello di Nicola e Lorenzo, erano concentrati sui giovani musicisti della scena contemporanea indipendente, non solo della Toscana. La conoscenza comune di Angelica e Iaui ha fatto convergere i due progetti ed è diventato sempre più centrale il racconto della crescita e dell’adolescenza, avendo le voci di chi si faceva conoscere attraverso la musica.

Lorenzo Maffucci. Io e Nicola avevamo aperto una sala prove popolare a Pistoia che accoglieva giovani che volevano suonare. E quello è stato un punto di convergenza perché lì abbiamo conosciuto Angelica, mentre Iaui lo abbiamo intercettato in un’autogestione del suo liceo artistico. Il nostro tentativo è quello di raccontare l’adolescenza e la musica come romanzo di formazione, soprattutto che cosa accade ai giovani di provincia quando escono dalla propria stanza con un progetto, in questo caso la ricerca di suoni.

Come avete affrontato il vostro progetto?
Nicola Ruganti. Il problema personale molto grande era come noi abbiamo vissuto quel passaggio d’età, tra i 15 e 20 anni, e come lo vivono gli adolescenti di oggi. Così durante i 3 anni e mezzo siamo stati insieme ad Angelica e Iaui cercando di cogliere ciò che ci interessava: come si fa a raccontare l’adolescenza senza appiccicare etichette agli adolescenti. E determinanti sono il silenzio, l’attesa, l’assenza degli adulti, il fatto che esistono solo loro adolescenti. Questo momento così delicato, per essere comunicato come tale, non poteva che essere narrato con questa atmosfera di sospensione, altrimenti sarebbe stato definitorio.

Un film fatto di sospensioni, attese, lunghi silenzi.
Dario Zonta (produttore). Questa è l’idea che è anche un po’ l’ambizione del film che lo rende un oggetto strano: attorialmente anti-narrativo, senza rapporti di causa ed effetto, accadono fatti di cui immediatamente non si capisce il motivo. La scelta è stata, attraverso una struttura aerea e totalmente aperta, il sentimento del passaggio d’età, svolto però attraverso di loro. C’è un vicinanza generazionale tra gli autori che sono un po’ come i fratelli maggiori dei ragazzi. E si è passati attraverso il loro modo di sentire le cose più che vederle. Questi ragazzi sono infatti fuori dall’orbita, dal controllo, non sono classificabili.

Siete stati dei testimoni il più possibile oggettivi?
Davide Maldi. Noi siamo rimasti in ascolto o meglio in osservazione. Abbiamo innescato anche dei meccanismi che potevano diventare una sorta di gioco, certo un gioco più adulto. Entrambi i protagonisti avevano un’idea di suono molto personale, noi eravamo pronti ad ascoltarlo per quello che era: sgraziato per Angelica che non ha fatto il conservatorio, elettronico duro per Iaui.

Perché il titolo Frastuono?
Davide Maldi. Il film è molto silenzioso e viene interrotto dalla loro voce. Il frastuono è interruzione del silenzio che per essere ascoltato richiede dell’attenzione da parte dello spettatore.

Lorenzo Maffucci. Il titolo ha un riferimento con una raccolta di articoli di Lesters Bangs, storico e critico del rock, intitolata “Guida ragionevole al frastuono più atroce”.

Quanto avete girato?
Nicola Ruganti. 150 ore, ma un terzo sono interviste a gruppi musicali giovanili, poi messe da parte. Nella scelta fra tutto questo materiale ci ha guidato Darwin, nel senso che sono sopravvissute le immagini migliori, che avevano più credibilità, più fattura.

Avevate una sceneggiatura di partenza?
Davide Maldi. C’era un’idea base, un percorso: stare con loro nella prima parte del film e poi intraprendere un viaggio, vedere che cosa accade quando sono lontani da casa e lì ci fermiamo e non diamo delle soluzioni. Li accompagnamo fino al momento in cui prendono coscienza di quel che potrebbero fare. E il film là s’interrompe.

Stefano Stefanutto Rosa
26 Novembre 2014

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