Elisa Amoruso: “Fuoristrada, una storia d’amore che scardina le convenzioni”

La regista porta in Prospettive Doc Italia la storia di Pino/Beatrice


È un’immagine gioiosa e rivoluzionaria quella che ritrae Pino/Beatrice e Marianna nel giorno del loro matrimonio, con addosso lo stesso identico vestito rosa e lo stesso identico sorriso, pieno di felicità per il coronamento di un amore. Un amore normalissimo, eppure Fuoristrada, tra la sarta Marianna e il meccanico e pilota di rally Pino/Beatrice, un meraviglioso personaggio con le mani unte di grasso e i tacchi a spillo, la tuta da lavoro e il rossetto rosso fuoco. Pino, infatti, non si sentiva a suo agio negli abiti maschili e qualche anno fa ha deciso di diventare Beatrice – ma senza operarsi e cambiare dati all’anagrafe -, poi ha incontrato la badante romena della mamma, se ne è innamorato/a e ci ha costruito una famiglia, che comprende anche il figlio di Marianna. A raccontare questa storia, tanto normale quanto straordinaria, è Elisa Amoruso con Fuoristrada, che il Festival di Roma presenta nella sezione Prospettive Doc Italia. Un progetto diventato realtà grazie alla Meproducodasolo di Alfredo Covelli, in associazione con A Films e Tangram Film; una storia – vera – in cui la questione di genere diventa irrilevante, raccontata con ironia evitando ogni accenno di militanza, morbosità o ruffianeria. “Chi è il capofamiglia?”, provoca Pino/Beatrice, ridendo, in una scena. “Io, perché sono la più grossa”, risponde Marianna…

Elisa, come si è imbattuta nella storia di Pino/Beatrice?
È stato un caso. Beatrice è il meccanico di una mia carissima amica, che ha insistito per farmela conoscere e poi ha firmato con me il soggetto. Quando l’ho incontrata mi è piaciuta subito e ho deciso di raccontare la sua storia. Prima, però, le ho chiesto se aveva voglia di essere protagonista di un film per il cinema, perché sapevo che aveva avuto un’esperienza mediatica precedente in cui non si era trovata bene. Bea mi ha risposto: “Sì, ma solo se dà il consenso anche mia moglie”. Per tutto l’anno successivo, poi, mi sono imbarcata nell’avventura di seguirle nella quotidianità, acquisendo con loro intimità e fiducia. Fuoristrada è tutto in presa diretta, anche se ho cercato di strutturare un po’ le interviste.

Quando ha iniziato a lavorare sul film si è posta dei confini al suo sguardo? C’era qualche rischio che voleva evitare nel raccontare questa storia?
Mi sono imposta semplicemente di raccontare la verità e la bellezza del loro rapporto che mi si è presentata allo sguardo. Non ho mai forzato la mano, non volevo essere mai grottesca né esagerata, non avvicinarmi né a Ciprì né ad Almodovar. Poteva essere una situazione strana, difficile da capire, ma Beatrice e Marianna mi si sono presentate come una famiglia normale, anche perché Bea è sì un personaggio eccessivo, ma ha trovato un equilibrio nella gestione della sua personalità.

Il mondo che le circonda, nel film, manifesta solo affetto e comprensione. C’è solo una scena in cui si vede lo sguardo cattivo di una signora che incrocia la coppia. Non ci sono state manifestazioni di intolleranza oppure ha scelto di toglierle dal film?
C’è da dire che le ho seguite spesso tra gli estranei, ma quando c’è la macchina da presa probabilmente le persone reagiscono in modo diverso. Ovviamente sono spesso guardate in modo strano. Immediatamente dopo la sua trasformazione, per Bea è stato difficile: le sue uniche amiche erano trans e prostitute, ha perso metà dei clienti dell’officina quando si è presentata vestita da donna. Gli altri, quelli che sono rimasti, hanno capito presto che Pino era diventato Bea ma era sempre lui, una brava persona, con la differenza che ha avuto il coraggio di essere se stessa.

Quanto è stato difficile realizzare il film a livello produttivo?
Un po’. Il MiBAC non ci ha finanziato, anche se poi abbiamo avuto il riconoscimento dell’interesse culturale. Quando Alfredo Covelli ha deciso di investire di tasca sua nel progetto sono arrivati anche Roberto De Paolis e Carolina Levi, e la troupe ha lavorato in compartecipazione. A film finito, poi, la Fandango lo ha preso in carico per le vendite estere.

Spera che raccontare questa storia possa produrre qualche effetto positivo?
Mi auguro prima di tutto che Fuoristrada sia visto da più persone possibile. È un film che emoziona e nel nostro Paese è utile far vedere una realtà che va oltre i luoghi comuni e i pregiudizi. C’è una scena molto significativa in cui, a scuola del figlio di Marianna, lei è costretta a spiegare la situazione familiare ed esclama: “Beatrice è mio marito!”.

Cosa ha di speciale questa famiglia, alla fine?

Beatrice e Marianna sono solo una coppia che si ama, scardinando le convenzioni sociali. Sono contenta perché il film fa anche ridere, e questo succede perché Beatrice non è il classico trans disperato che batte, né fa il parrucchiere: è un meccanico, un personaggio che racchiude in sé una complicata commistione di generi. È un film positivo sulla verità di un sentimento universale.

Loro due lo hanno già visto?
No, lo vedono al festival, sono sicura che Marianna piangerà. Hanno comprato dei vestiti per l’occasione, e percorreranno la prima parte del red carpet su una jeep, una di quelle su cui Bea fa le gare.

È già al lavoro su un nuovo progetto?
Sì, sul mio primo film di finzione, co-prodotto da una produzione polacca e dalla società di Valerio Mastandrea. Sarà un noir sul concetto del doppio, sull’identità di una donna, un soggetto originale che può rimandare a La doppia vita di Veronica o Vertigo. Lo girerò tra Roma e Varsavia nel 2014.

Michela Greco
15 Novembre 2013

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