Annabella Sciorra


Lunghi capelli neri, magrolina, vestita casual ma con un paio di invidiabili stivaletti di camoscio viola col tacco a spillo, l’americana Annabella Sciorra è diventata italianissima per un giorno. È alla Berlinale con Domenica, che passa stasera nel Panorama, insieme alla regista Wilma Labate (leggi l’intervista), alla giovanissima protagonista al co-sceneggiatore Bruno Roberti. Seduta a un tavolo dello stand di Italia Cinema/Anica, fuma lunghe sigarette, mangia caramelle alla menta e scherza con la sua partner dodicenne, ormai una piccola amica. Ridono del suo buffo italiano imparato, estate dopo estate, in vacanza al paese dei nonni. “Mia madre era di Maranola, vicino a Formia, mio padre abruzzese, ma io sono nata negli States”, spiega.
In Connecticut, per la precisione. Dove il suo cognome si pronuncia skiu-o-rra. Da italian-american è stata spesso sullo schermo. In Jungle Fever di Spike Lee, per esempio, che l’ha rivelata nel 1991. Fidanzata bianca, e invisa alla comunità, del nero Wesley Snipes. Ma anche nello straordinario The Funeral di Abel Ferrara. E nel film di Wilma Labate, dov’è la straniera Betibù, che gestisce il bar del porto e si prende cura di una ragazzina sola al mondo.

Com’è stato il rapporto con Domenica?
Bellissimo. Domenica è una bambina aperta, solare. Tra noi tanti baci (in italiano, ndr)!

Neppure una durezza, come nel rapporto tra i due personaggi?
Ma Domenica, il personaggio voglio dire, non è dura! È una che si difende. Sua madre è morta.

Ti piacerebbe lavorare ancora in Italia?
Avrei bisogno di un dialog coach. Dopo un po’ che sto in Italia il mio accento migliora, ma resta sempre straniero.

Ci sono registi italiani che ti sembrano interessanti?
Molti. Prima no, adesso le cose stanno cambiando. Mi piacciono Martone, Winspeare… Sangue vivo sarebbe bello vederlo in America nelle sale. Potrebbero capirlo anche in provincia, è un film universale con cui tutti possono trovare un rapporto.

E allora perché è così difficile per i film italiani essere distribuiti?
È un problema di mercato. Gli studios non sanno come vendere un prodotto diverso. Senza contare che Sangue vivo ha bisogno di sottotitoli persino a Milano, figurati in America!

E di “Domenica” che ne pensi? Potrebbe avere mercato all’estero?
Ma certo. Bambini che non hanno una casa, un posto dove dormire, che non hanno modelli e punti di riferimento, ce ne sono ovunque. Anzi, questo è uno dei motivi che mi ha spinto ad accettare.

E gli altri motivi?
Mi era piaciuto molto La mia generazione. Pensavo che Wilma doveva essere una che non esagera nella direzione degli attori, che li lascia molto liberi. E avevo ragione.

Ti sei mai sentita condizionata nel lavoro dalle tue origini italiane?
Sei tu che devi evitare di farti bollare. Certo, se vai in giro a parlare con l’accento “broccolino” e vestita in un certo modo, finiscono per etichettarti. Però non è detto.

Sei sempre in contatto con Abel Ferrara?
Sì, sta bene, ha appena finito il suo nuovo film.

Tu hai una predilezione, ricambiata, per il cinema indipendente. Ti trovi sempre bene off Hollywood?
Per gli indipendenti, purtroppo, è sempre più difficile trovare soldi. Comunque quest’anno ho fatto diversi film piccoli: Once in life, un thriller diretto da Laurence Fishburne, e King of the Jungle di Seth Zvi Rosenfeld con Rosie Perez e John Leguizamo. In più ho un ruolo in Sopranos, una serie tv che va in onda in tutto il mondo tranne che in Italia.

Che ruolo?
Non posso dirlo. Per contratto.

Cristiana Paternò
13 Febbraio 2001

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