ROBERTA TORRE


Si scrive angela, con la minuscola. Come il femminile di angelo. Ma è anche il nome di una donna. Angela, detta Angelò, nata e cresciuta nel quartiere di Ballarò. Giovane moglie del boss e complice di traffici di droga nella Palermo degli anni ’80, unica femmina in un universo tutto maschile che osserva e condivide in silenzio. Innamorata del lusso più che del suo uomo, ma in fondo leale. Fino al giorno in cui incrocia sulla sua strada Masino.
È una storia di passioni violentissime, il terzo film di Roberta Torre, a Cannes il 19 maggio e in autunno nelle sale italiane distribuito da Lucky Red. Un mélo noir che rinuncia al grottesco di Tano da morire e Sud Side Story ma non alla radice documentaristica della regista milanese che ha ormai da anni fatto di Palermo la sua base. E il set del suo cinema. Anche del prossimo film, titolo provvisorio La notte lunga: un ripensamento rispetto alla decisione, annunciata tempo fa, di cambiare artisticamente aria.

“angela” alla Quinzaine: la tua prima volta a Cannes.
Sì, a Venezia ero stata già due volte, tornarci per la terza sarebbe stato un po’ come lavorare in fabbrica.

Hai cambiato anche lo stile del racconto.
Ho fatto una tragedia pura mettendo l’ironia e il grottesco tra parentesi. Restano le battute tra gli uomini, perché fanno parte di quella cultura. angela lo sento più vicino ai miei lavori prima di Tano, vicino al documentario.

Infatti ti sei ispirata a una storia vera, addirittura una confessione…
Sì, ma stravolta nell’immaginazione di chi racconta. Questa donna l’ho incontrata molte volte, l’ho intervista per giorni facendomi rivelare i dettagli della sua storia d’amore, un amore assurdo in un mondo spietato di soli uomini.

Ti intessavano i sentimenti più dell’ambiente malavitoso, che comunque è descritto con pochi tratti molto esatti.
Mi interessavano i toni, le esitazioni. I fatti reali si intuiscono e basta, l’omicidio neppure si vede. angela è soprattutto una storia di sentimenti negati.

Il marito, in questo senso, è una figura complessa, un duro alla James Cagney che però viene completamente annientato dal tradimento.
È una figura affascinante e contraddittoria, tanto che finisci per dimenticare che è un assassino.

Ti cito due film – “Casinò” di Scorsese e “Fratelli” di Abel Ferrara. Che ne dici?
Ci aggiungerei anche King of New York, sempre di Ferrara. Di Fratelli mi piace come arriva dal realismo alla tragedia greca e anche la ferrea divisione tra uomini e donne in quel mondo. Casinò la considero la storia di un vincente che si punisce scegliendo l’unica donna che non gli permetterà mai di essere felice, nel mio film parlo piuttosto dell’impossibilità di vivere un destino normale.

Mi parli di Donatella Finocchiaro? Ha una fisicità e un’intensità quasi fuori dal tempo.
Fa l’avvocato, aveva fatto qualcosa a teatro, l’ho trovata dopo centinaia di provini. Fisicamente si avvicinava molto ad Angela, mentre per carattere è completamente diversa.

La produzione non ha tentato di convincerti a scegliere un’attrice di richiamo?
Rita Rusic è stata incredibilmente solidale. Viene da esperienze diverse dalle mie, ma il nostro rapporto si è costruito nel tempo ed abbiamo finito per capirci benissimo. Inoltre avere un occhio diverso è molto importante per un regista.

Hai ridimensionato parecchio il ruolo della musica rispetto ai due film precedenti.
Quasi non volevo musica, ma solo rumori. Poi ho trovato Andrea Guerra, il compositore delle Fate ignoranti: ha pensato un tema istintivo che ritorna sempre e dà un senso di ossessione; e poi ci sono tempi lenti e silenzi. Al musical però tornerei volentieri, per esempio ho amato molto Moulin rouge.

Stai già scrivendo un nuovo film.
Ancora una storia di sentimenti negati: un uomo costretto a sposare la donna che la famiglia gli impone e suo fratello, che ha rinunciato all’amore per motivi familiari. Diciamo per la ragion di stato.

Cristiana Paternò
07 Maggio 2002

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