Ermanno Olmi: il mestiere della pace

Dopo Il mestiere delle armi, il regista torna a raccontare vicende di uomini l’un contro l’altro armati nel film appena girato Cantando dietro i paraventi


“Da quel momento, i quattro mari furono sicuri, i contadini vendettero le spade e comprarono buoi per arare la terra e le voci delle donne rallegravano il giorno cantando dietro i paraventi”

VIDEO
Ermanno Olmi:
Cantando dietro i paraventi
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È dal quel tragico 11 settembre che soffiano venti di guerra, a volte forti a volte deboli. E non è un caso che Ermanno Olmi torni, dopo Il mestiere delle armi, a raccontare vicende di uomini l’un contro l’altro armati nel film appena girato Cantando dietro i paraventi. A darsi la caccia e ad affrontarsi nei mari della Cina sono la flotta imperiale e quella dei pirati, ma nonostante sembrino prevalere le ragioni del conflitto, dell’essere nemici, Olmi mostra come ci sia sempre spazio per parlarsi.
Non è un caso che il regista, presentando il film nei Roma Studios davanti alla scenografia imponente di una giunca/palcoscenico teatrale, ricordi la testimonianza di uno dei protagonisti del suo I recuperanti (1969), un anziano pastore: “Perché combattere? Finita la guerra ognuno torna a casa sua…”. Cantando dietro i paraventi inizia su una tolda di una giunca che contiene una pagoda, riquadro simbolico del palcoscenico. E’ qui, teatrino-bordello dove è capitato per errore un giovane studente occidentale, che si rappresenta la storia di una celebre donna pirata, la vedova Ching.
Le riprese, durate 3 settimane, negli ex DinoCittà sono appena terminate e Olmi ricostruisce con serafica tranquillità la faticosa lavorazione iniziata ad agosto in Montenegro, al lago di Scutari, dove sono state costruite 3 giunche cinesi di 46 metri di lunghezza con alberi di più di 40 metri, tra impreviste difficoltà metereologiche (“Le stagioni non sono più quelle di una volta”). Il film costato ad oggi 9 milioni di euro, sarà nel sale il prossimo ottobre.

E’ una fiaba orientale?
No, la vicenda della vedova Ching è autentica tanto da essere presente negli archivi storici di Pechino. E’ quella materia viva del passato che continua a parlare a noi contemporanei e come tutto ciò che è leggendario è in fondo anche un po’ favola.

Perché una storia cinese?
In tempi di schieramenti – capitalisti e anticapitalisti, destra e sinistra – se parliamo di una realtà a noi estranea non ci connotiamo, anzi siamo osservatori disponibili alla ragione e non alla fazione.

A cosa s’ispira il film?
Per caso ho letto un racconto e mi è rimasta la curiosità di questo mondo dei pirati in Cina tra il ‘600 e l’800, nel quale la pirateria era praticata anche da gentiluomini come l’abate Caracciolo che fondò su una piccola isola una città della giustizia e dell’uguaglianza. Le ciurme erano un po’ come le squadre di calcio oggi, ingaggiavano i pirati più abili e prevedevano regolamenti anche per gli incidenti sul lavoro.

Perché questo titolo?
Racconta un poeta cinese che donne come la vedova Ching, lasciate le armi prese per necessità, tornavano a cantare dietro i paraventi. E’ un’immagine perfetta che evoca pace e che mi ricorda le donne che in campagna andavano a lavare i panni cantando. Quelle voci racchiudono la vita, i sentimenti, l’amore.

Chi è la protagonista?
Jun Ichikawa è una ragazza che studia architettura a Roma. Di solito per scegliere il cast mi occorrono 2500 provini, e invece questa giovane subito mi ha convinto. E’ lei la moglie dell’ammiraglio Ching di cui prenderà il posto una volta ucciso, diventando una celebre pirata che sfida la flotta imperiale. Ma arriva il giorno della grande decisione: combattere fino alla morte o cercare il dialogo. Un evento inatteso la convince che la vittoria vera è tornare al suo ruolo naturale di donna.

L’unico attore noto del film è Bud Spencer.
Che ha lasciato a casa i panni di Bud Spencer per vestire quelli di Carlo Pedersoli. Ha così le carte in regola per essere attore in scena, è lui ad evocare la realtà e a parlarci di teatro interpretando un capitano di marina portoghese. Sul set ho ritrovato un amico. Durante la mia lunga degenza in ospedale, più di sei mesi, i film da lui interpretati insieme a Terence Hill mi hanno infatti dato conforto e compagnia.

Quanto ha pesato nel lavoro la presenza di un produttore americano?
Mi dicevano: se fai un film con gli americani ricevi ma anche dai tutto, nel senso che ti trovi a firmare sceneggiatura pagina dopo pagina nonché il cast. E invece sono state sufficienti solo tre paginette alla Lakeshore e non ho firmato nulla.

Ci sono scene di battaglia?
Lo spettatore va rispettato, il mio intento non è mostrare la guerra nel suo gesto più cruento, ma arrivare alla soglia di questo momento e ricordare che possiamo fermarci. Non mi interessa spettacolarizzare il conflitto, questo lo fa ogni giorno la televisione.

Stefano Stefanutto Rosa
14 Gennaio 2003

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