Stefano Savona: “Dentro il lager di Gaza”


E’ stato l’unico sguardo occidentale su Gaza durante l’operazione Piombo Fuso (27 dicembre 08-18 gennaio 09), testimone dei bombardamenti e delle distruzioni, della disperazione dei civili e dei modi di sopravvivere all’assedio, della carestia e dello scetticismo. E Piombo fuso-Cast Lead si chiama ora il documentario che Stefano Savona porta a Locarno, nella sezione Cineasti del Presente (dove ha vinto un premio speciale, unico italiano sul podio). Nato come Shooting Gaza, nel duplice senso di una parola che vuole dire filmare e sparare, è stato più volte rielaborato con tagli e aggiunte dal documentarista siciliano, fotografo, antropologo e viaggiatore, già autore di Primavera in Kurdistan nel 2006, candidato al David di Donatello. Prodotto da Pulsemedia, Piombo fuso andrà anche in onda su Doc 3 (Raitre) il 17 settembre in una versione breve di 52′.

Il documentario lascia grande spazio alle immagini e ai suoni, dalla frontiera con l’Egitto a Rafah, dove passano solo le ambulanze con morti e feriti e qualche camion di medicine, alle macerie di una moschea bombardata dove i bambini giocano ancora, ai tunnel costruiti sotto la frontiera per mantenere i contatti con il resto del mondo arabo, un sistema che per gli egiziani rappresenta un business e per i palestinesi di Gaza l’unico contatto con l’esterno. La scelta di montaggio è estremamente rigorosa, senza commento e senza inquadramento storico. Solo le immagini iniziali, con la conferenza stampa del governo israeliano, accennano alla complessità di questo conflitto infinito e sanguinoso.

 

Come mai queste scelte di regia?
Ho cercato la semplificazione massima, come se avessi trovato questo girato per caso. Ho tentato di dare il massimo valore a ogni singolo fotogramma, lavorando sul suono, il colore e le immagini. Volevo documentare e la documentazione è il contrario del reportage perché la televisione non dà il tempo e lo spazio, mentre il cinema crea un contesto che ti permette di entrare dentro ai fatti. Il documentario vuole riproporre la sensazione fisica di stare in un luogo, in questo caso la sensazione fisica di stare sotto le bombe.

Come è riuscito a superare il “muro invalicabile” che separa Gaza dal resto del mondo?
Il 3 gennaio ero al confine egiziano, a Rafah, e mettevo online le mie immagini sul sito dagaza.org, il 14 sono riuscito a entrare insieme ad alcuni giornalisti. Io ero l’unico tra loro con la videocamera. Siamo rimasti bloccati nella parte meridionale perché la Striscia era spaccata in due, poi il 19 siamo arrivati a Gaza City anche se era molto difficile spostarsi e ancor più andare in giro. Il film è un diario di quei giorni e credo che nei suoi vari episodi componga un quadro chiaro e analitico di cosa succedeva durante la guerra con le reazioni della popolazione locale. Ho il progetto di fare un altro lavoro con i racconti della guerra fatti dopo la guerra, e questo spiegherà di più.

Non c’è nel film una sola voce di dissenso contro Hamas. Al contrario si respira la consapevolezza che tra vent’anni si continuerà a morire in questo conflitto, che i bambini di oggi saranno i combattenti e le vittime di domani, che non ci sarà spazio per la mediazione.
Se il dissenso verso Hamas c’era, è finito prima della guerra. Hamas, Fatah e gli altri gruppi politici erano tutti sotto lo stesso fuoco, come i civili. Il dissenso c’era prima e ci sarà dopo, ma durante i bombardamenti i moderati hanno taciuto, anche se molti civili ripetono che non hanno mai aiutato la resistenza. Purtroppo la resistenza anti-israeliana dieci anni fa aveva le parole della sinistra, oggi parla con le parole di Hamas. Gaza è una terra di profughi e il 70% di loro non potranno mai tornare nelle proprie case, non hanno avuto alcun beneficio dagli accordi di Oslo. Gaza è un enorme campo profughi da cui non si può uscire, dove circa un milione di persone sono nutrite dalle Nazioni Unite… è un enorme campo di concentramento, grande come un terzo del Comune di Roma. Sono persone che non hanno né passaporto né Stato da sessant’anni. Ecco perché l’opinione pubblica di Gaza è molto radicalizzata.

Il film lascia aperti molti interrogativi politici e accende la voglia di conoscere meglio e approfondire, al di là delle semplificazioni dei media, quegli scenari.
Il punto di vista del film non è politico, Piombo fuso non può rispondere a domande politiche, ma non credo che contenga esagerazioni o sbilanciamenti e penso che possa contribuire alla comprensione. Anche i palestinesi che vedono il film mi pongono interrogativi di questo tipo – “perché non hai mostrato di più il lato Fatah?” mi chiedono – ma io non volevo fare un saggio politico.

Pensa che il film potrà essere proiettato in Israele e servire al dialogo?
Agli israeliani Piombo fuso interessa poco, perché i morti israeliani in questo attacco sono stati solo 13 e l’attenzione dell’opinione pubblica in quel periodo era piuttosto concentrata sul Libano. Ma certamente credo che vedere quelle distruzioni sarebbe uno shock per molti israeliani.

Cristiana Paternò
06 Agosto 2009

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