Costanza Quatriglio e l’analfabeta che reinventò la letteratura


VENEZIA – “Quest’uomo ha messo in crisi il concetto stesso di letteratura, con la sua visione personale e inedita degli eventi che non si trova sui libri di storia”. Costanza Quatriglio parla rapita di Vincenzo Rabito, siciliano che, nato nel 1899, ha attraversato il “secolo breve” da analfabeta senza mezzi, percorrendone gli snodi cruciali con l’ingenuità di un Candide determinato, semplicemente, a sopravvivere. E’ su di lui e sulla sua incredibile avventura letteraria che la regista ha costruito il documentario Terramatta, animando sullo schermo – con tono visionario, musica elettronica, filmati d’archivio, dattiloscritti “ingigantiti”, e con la voce off straordinaria di Roberto Nobile, che le interpreta – le centinaia di pagine scritte da Rabito con una lingua personalissima e un torrente di punti e virgola. Ci sono l’esperienza di soldato addetto a seppellire i caduti durante la prima Guerra Mondiale e la scelta opportunista di aderire al fascismo dopo una militanza socialista – “che quasi quasi mi dispiace abbandonare”. C’è un episodio di stupro perpetrato quasi senza rendersene conto (ma poi narrato senza pentimenti né autoassoluzioni), il matrimonio come tappa obbligata e infine i figli, fortemente voluti e amati.

 

Le oltre mille pagine di memorie di Rabito sono diventate un caso letterario pubblicato da Einaudi nel 2007, lo stesso che dà il titolo al film: Terra matta. Prodotto da Cliomedia Officina e Luce Cinecittà , il documentario su “cinquant’anni di storia italiana patiti e raccontati con straordinaria forza narrativa” che costituiscono “un manuale di sopravvivenza involontario e miracoloso” (come l’ha descritto Andrea Camilleri) è tra gli eventi speciali delle Giornate degli Autori e sarà distribuito da Istituto Luce Cinecittà.

 

Costanza, come è nato il progetto? Si è imbattuta per caso nella fluviale biografia di Rabito?

La produttrice Chiara Ottaviano aveva letto il libro e mi ha proposto di lavorarci. Poi l’ho letto io, mi ha colpito, l’ho amato, mi ha intrigato, anche se lo leggiucchiavo senza un ordine preciso. Nel 2008 abbiamo deciso di trarne un film, poi ci abbiamo messo un po’ di tempo.

 

Come ha gestito questa strabordante, e strana materia narrativa?

Ho lavorato sull’edizione della Einaudi scegliendo i passaggi che mi permettevano di costruire la drammaturgia del film, che doveva essere autonoma rispetto al libro. Ho scelto di tagliare le parti in cui si abbandonava la narrazione in prima persona, per mantenere sempre un legame tra il lettore e il suo racconto.

 

Vincenzo Rabito si mette letteralmente a nudo in queste pagine, senza filtri.

Esatto, non c’è alcun filtro di autocensura nelle sue parole, nemmeno quando parla, col tono della cronaca, della violenza di gruppo a cui partecipa. Aveva uno spirito da documentarista ed era capace di ascoltare la realtà.

 

Nei suoi scritti c’è una grande invenzione linguistica.

Sì, è una galassia, un ecosistema, le sue parole storpiate sembrano formichine. Dal punto di vista visivo mi sono divertita a rispettare il testo, ma inventando a mia volta un linguaggio visivo pop, ma che vi aderisse. Non ho fatto una ricostruzione storica o politica, ma ho voluto costruire un legame tra soggettività e noi con le riprese degli ambienti, delle strade solcate da lui e dal suo punto di vista. Per questo a un certo punto le lettere stampate si ingrandiscono fino a diventare dei sentieri. Poi ho lavorato sulle immagini di repertorio, spesso rievocando immagini note per contraddirle piegandole alla soggettività.

 

In Terramatta c’è il racconto di un secolo di storia del nostro Paese.

Chi lo vede capisce cosa ha significato essere italiani e, purtroppo, cosa significa esserlo ancora. Si viveva di paternalismo, Rabito cercava protezione nel politico, confermando l’idea che non ce la si fa da soli, senza l’aiutino. Racconta gli italiani, ma al maschile, piegando la storia a una visione ‘di regime’, a una soggettività dirompente e sagace che a volte usa la retorica fascista. Ci ‘toglie le mutande’ raccontando in prima persona fatti intimi e personali, ma esponendo una visione epica di se stesso, si autorappresenta come un eroe, anche se era pieno di difetti italiani.

 

Questo è anche un film sulla cultura come strumento per il riscatto esistenziale e la dignità.

Sì, lui trova il suo riscatto nello studio. Si era nutrito della letteratura popolare dei cantastorie, amava le narrazioni da autodidatta. Nella sua storia c’è un omaggio alla cultura come strumento per la costruzione dell’identità. Rabito aveva l’urgenza di definirsi, anche se significava sporcarsi le mani.

04 Settembre 2012

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