Salvatore Mereu: farfalle per un giorno


Ancora adolescenti e il loro mondo interiore ed esterno al centro del racconto nella sezione Orizzonti. Dopo i due giovani e straordinari interpreti presi dalla strada de L’intervallo di Leonardo di Costanzo, un’altra formidabile performance di interpreti non professionisti ci viene regalata dal terzo e ultimo titolo italiano della sezione Orizzonti, Bellas mariposas di Salvatore Mereu, dall’omonimo racconto postumo di Sergio Atzeni, pubblicato da Sellerio anni fa.
Le belle farfalle, traduzione dal sardo, sono Cate e la sua migliore amica Luna che il regista pedina nel corso di una calda giornata d’agosto a Cagliari. Tutto comincia nel cuore della notte quando Cate viene svegliata dalle urla di una vicina. La casa nel quartiere degradato di periferia dove abita è un porto di mare, con i tanti fratelli e sorelle, un padre padrone con pensione da invalido, una madre che si divide tra doveri familiari e lavori precari.

 

Cate sogna la fuga, di diventare rockstar, di diventare “famosa come Zola, Carta e Spanu”. E soprattutto di non fare la fine di due sue coetanee: la sorella Mandarina rimasta incinta a 13 anni e Samantha ragazza ‘facile’ del quartiere. Mentre il suo giovane amore Gigi è in pericolo di vita, Cate insieme all’amica del cuore Luna, trascorre una giornata spensierata, senza una meta precisa, tra la periferia, il centro di Cagliari e il mare. Una giornata piena di risate, confessioni, avventure e di incontri come quello inatteso, la sera, con la maga (Michela Ramazzotti) che predice il futuro.

Il tono del film è ironico, a tratti surreale, e a guidarci in quel quotidiano senza fughe possibili, è Cate stessa, voce narrante di quanto accade intorno a lei, dialogante con lo spettatore.
Bellas mariposas è una produzione Viacolvento in collaborazione con Rai Cinema con il sostegno della Regione Sardegna, dell’Istituto superiore etnografico della Sardegna e della locale Film commission.

 

Quando ha pensato di trasferire al cinema il racconto di Atzeni?

Già ai tempi di Sonetaula, volevo fare un film sulla parte più urbana della Sardegna. Spesso mi hanno fatto notare che mi occupavo solo delle zone più interne.

 

Quale difficoltà in questa impresa?
Il libro di Atzeni, nonché la sua figura dopo la sua scomparsa, sono diventati oggetto di culto in Sardegna, specie tra le giovani generazioni. Ogni lettore si è già fatto il suo film e non sarà facilmente disposto a sostituire il testo letto con quello che propongo. Inoltre si tratta di un racconto breve di sessanta pagine, senza dialoghi, che si presenta come un’unica voce narrante. Caterina ci racconta infatti la sua storia, salta continuamente di palo in frasca e parla al lettore come se guardasse in macchina.

 

Una caratteristica quest’ultima che ha voluto mantenere.
E’ la sua forza ma anche un’insidia nel momento della sua traduzione per lo schermo. Soprattutto quando affidi la responsabilità di una scelta così determinante ad attori non professionisti.

 

C’è poi la difficoltà di restituire la lingua di questo racconto.
La lingua è quella che usano i ragazzi, un misto di italiano e cagliaritano, uno straordinario esperimento linguistico senza punteggiatura, che utilizza per i vari passaggi solo gli spazi e i capoversi. Non c’è un’adesione partigiana o ideologica, ho usato questa lingua avendo come unico riferimento i personaggi che così si esprimono in quel mondo.

 

Come si è rapportato con il mondo di queste giovani adolescenti?
Mi sono avvicinato progressivamente. Due anni fa ho portato a Venezia Tajabone, che è stato girato proprio nel quartiere popolare Sant’Elia, location di Bellas mariposas. Nel momento in cui ho deciso di fare questo mio film, mi sono trasferito a Cagliari, sono stato lì per un anno e ho conosciuto il mondo che Atzeni aveva raccontato, entrandoci dentro. Ho usato allora l’esperienza di Tajabone per essere accolto da una comunità che non accetta sguardi esterni.

 

Come ha lavorato con le due protagoniste debuttanti sullo schermo?
Le ho scelte dopo alcuni provini fatti a scuola. Provavamo nella palestra dell’istituto e abbiamo affrontato il film come fosse uno spettacolo da portare in scena. Mi è servito sia per capire la loro attitudine davanti al mezzo, sia per stabilire una complicità con loro. Il piano di lavorazione è stato affrontato in ordine cronologico perché anche le due ragazze scoprissero il film giorno per giorno e perché quella loro amicizia, presente da subito nel libro, arrivasse alla fine del percorso creativo.

 

Tutti attori non professionisti?
No, ci sono anche professionisti, che si conoscono meno perché vengono dal teatro, come i genitori di Cate, Luciano Curreli e Maria Loi, o la vicina di casa signora Sias, Rosalba Piras.

 

Per il personaggio della maga ha scelto un volto già noto, quello di Michela Ramazzotti, come mai?
Tra le varie proposte sotto mano la Ramazzotti mi è parsa la più convincente perché all’epoca era un viso non ancora usurato. Specie quando si tratta di una commistione di attori e non attori e dunque l’equilibrio è più delicato. Il personaggio della maga, che è un po’ sopra le righe, tollerava anche l’incursione di un’attrice nota.

06 Settembre 2012

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