Eternit e camorra per Marco D’Amore

L'attore, reso popolare dalla serie Gomorra, sta girando a Casale Monferrato Un posto sicuro dell'esordiente Francesco Ghiaccio, una storia d'amore e paternità che parla anche di disastri ambientali


Un posto sicuro. Si chiama così il lungometraggio che segna il debutto alla regia di Francesco Ghiaccio e vede protagonista Marco D’Amore. L’attore casertano, 34 anni, conosciuto dai più per il ruolo di Ciro di Marzio detto l’Immortale nella serie tv Gomorra, sta girando in queste settimane a Casale Monferrato insieme a Giorgio Colangeli e Matilde Gioli. Prodotto dallo stesso D’Amore insieme alla Indiana Production, il film racconta di eternit e relative disastrose conseguenze – ambientali e non solo – attraverso una storia d’amore e di paternità, e verrà distribuito da Parthenos in associazione con Lucky Red.

Come mai ha scelto di produrre il film di un esordiente come Ghiaccio?
Perché ho creduto subito nel progetto e perché il mio unico grande sogno è diventare uno che può anche scegliere di stare dietro la macchina da presa, produrre e scrivere, mettendo gli altri nelle condizioni di fare bene il proprio mestiere.

Nel frattempo si prepara alla seconda serie di Gomorra?

Sì, gireremo a marzo, e sarà piena di sorprese. La prima serie è stata un’esperienza memorabile, anche drammatica per quello che ho visto e vissuto. Ho sentito vicine e mie tante situazioni raccontate nella serie: in quei quartieri ci vivono miei conterranei, quindi fratelli.

Come Roberto Saviano, con cui ormai siete amici.

Abbiamo legato vari passaggi particolari a livello di biografia: eravamo nello stesso liceo, lui faceva il quinto e io il primo, ci conoscevamo, ma Gomorra ci ha unito. Oggi sono contento di essere suo amico: gli auguro di essere felice, malgrado tutto.

Cosa comporta far parte di una serie così popolare?
Dipende, io sono rimasto lo stesso ragazzo noioso, riservato, che frequenta il giro di amici, pochi ma buoni, di sempre. Più si allarga la pressione più mi chiudo, non per snobismo ma per timidezza. Sono contento quando mi attestano un merito come attore, mentre provo difficoltà quando sono oggetto della curiosità pruriginosa altrui e invidio chi la vive con agio e disinvoltura. Per intenderci, da quando è andato in onda Gomorra penso di essere uscito per strada quattro volte, compreso il Gala del Cinema e della Fiction (dove ha ritirato il premio come miglior attore per Gomorra, ndr). E questo per due motivi: sono poco incline alle occasioni mondane, e per fortuna molto impegnato sui set.

Prima Gomorra, poi Perez. di Edoardo De Angelis… In entrambi interpreta un gangster: teme mai di restare intrappolato in una tipologia di ruolo, come accade a molti attori?
Sento che c’è un pericolo legato all’ultima fase del cinema italiano, in cui si tende a far coincidere il personaggio con l’attore. Un posto sicuro, però, mi vede in un ruolo del tutto diverso, alle prese con un padre molto anziano che scopre di essere malato, e da lì il film cede il passo a un argomento di attualità, l’eternit. Per il resto, per anni sia a teatro che in tv ho fatto cose molto differenti tra loro e ho intenzione di continuare a diversificare.

Malattia, amianto, camorra: le sue performance si inseriscono in contesti e temi delicati. Il criterio per non perdersi?
Mai lasciarsi graffiare e segnare troppo: il mestiere di attore consiste nel saper entrare e uscire da ogni personaggio, è una regola di base che va costantemente tenuta presente.  

Claudia Catalli
29 Gennaio 2015

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