Botrugno & Coluccini: “Dalle borgate di Pasolini a Mafia Capitale”

Alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro abbiamo incontrato i due registi romani, che stanno lavorando all'opera seconda, ispirata al romanzo di Walter Siti


PESARO – Romanzo della corruzione dilagante, della droga e del sesso venduti e comprati, della periferia di Roma come metafora dell’Italia intera, perché mentre le borgate si adeguano, o tentano di adeguarsi, ai valori borghesi, come scriveva un tempo che non sembra così lontano Pier Paolo Pasolini, la borghesia si sta “imborgatando”, tra arroganza, sogni di lusso impossibile, assenza di futuro per tutti. Le nefandezze di Mafia Capitale nascono anche da questo clima antropologico. “Vivere alla grande fin che si può e crollare quando capita”, come sintetizza Walter Siti. Autore di un romanzo che qualcuno ha definito post-pasoliniano, Il contagio. Mondadori l’ha pubblicato nel 2008, Nuccio Siano l’ha portato sul palcoscenico con 14 attori in scena guidati da un regista “professore” dentro e fuori una serie di siparietti di tragica vitalità e grottesco squallore. Ora Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, romani, classe 1981, con all’attivo un esordio di quelli che non si dimenticano (Et in terra pax, distribuito da Luce Cinecittà), ci stanno lavorando per farne il loro secondo lungometraggio. Ne abbiamo parlato con i due giovani autori ospiti della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, dove sono tra i protagonisti dell’Evento speciale dedicato agli esordi degli anni 2010-2015.

L’incontro tra voi due, che avevate raccontato Corviale e le sue speranze spezzate nell’opera prima, e il testo di Walter Siti deve essere stato quasi naturale. Come vi siete approcciati al Contagio? Avete tenuto conto della versione per la scena in cui tra l’altro recita anche Michele Botrugno, attore anche per Et in terra pax?
 
Daniele. Abbiamo scritto la sceneggiatura insieme al regista Nuccio Siano. Avevamo già fatto una prima stesura con lui, doveva essere il suo esordio al cinema, poi, per varie vicende produttive, non è andato a buon fine e dopo un paio d’anni il copione era ancora lì nel cassetto. Allora ci è venuto in mente di prenderlo e rimaneggiarlo. Ne abbiamo parlato con Gianluca Arcopinto e Simone Isola, i produttori di Et in terra pax, ed è arrivata anche la Rai che ci ha dato il sostegno per lo sviluppo e che speriamo possa entrare nella produzione. 
Matteo. I fondi della Rai ci garantirebbero, tra le altre cose, più punteggio nel momento in cui ci presentiamo al Ministero per la richiesta di finanziamenti. La produzione di un film italiano è un collage: Rai, ministero, tax credit…

Come siete intervenuti sul testo?
Daniele. Lo spettacolo teatrale in un certo senso è più vicino al libro perché può essere costruito come il libro, cioè con monologhi e brevi scene, sprazzi di dialoghi, sprazzi di storie mischiate, non ha le necessità narrative e drammaturgiche del cinema. Gli attori dello spettacolo – e alcuni di loro saranno nel film – hanno lavorato come in un laboratorio: Siano è arrivato con il romanzo, l’ha fatto leggere agli interpreti e ha costruito improvvisando. Noi dobbiamo strutturare di più.
Matteo. Nel film devi riuscire a raccontare senza monologhi. Ci devono essere dialoghi e immagini.  

Quindi quale sarà la struttura?

Daniele. E’ stato complesso trovare una struttura narrativa diacronica, però abbiamo mantenuto molto la linea del libro, abbiamo cercato di rispettare il testo e mantenere la divisione in due parti. Nella prima parte c’è una grande introduzione in questo condominio in borgata in cui si intrecciano una serie di storie. 
Matteo. Nella seconda parte, dopo uno stacco totale, troviamo uno di questi personaggi che è riuscito a fare carriera. Un po’ quello che sta succedendo a Roma in questo periodo.

Vi siete ispirati all’inchiesta su Mafia Capitale?
Matteo. Abbiamo preso qualcosa dall’inchiesta, aggiornando il discorso di Siti che aveva già intuito certe cose quando ha scritto il romanzo, parlando di questi personaggi che stanno nella terra di mezzo
Daniele. Certo, abbiamo messo qualcosa della nostra attualità: Mafia Capitale ha investito Roma e non potevamo tacere su questa cosa, ne abbiamo dovuto prendere atto e siamo riusciti ad inserirlo in modo neanche troppo velato.
Matteo. Non è un film d’inchiesta, parla sempre di quel personaggio, della sua sfera personale, privata, è uno spacciatore che ritrovi due anni dopo diventato il responsabile di una cooperativa. Altro non possiamo dire.

Nella scelta del cast siete maggiormente condizionati rispetto all’opera prima? Ci sono maggiori aspettative produttive?
Matteo. Non possiamo ancora parlare del cast, ma sappiamo che vogliamo alcuni interpreti del testo teatrale e anche alcuni attori più conosciuti, non per ragioni di reference system ma perché sono congeniali al progetto.
Daniele. Nessun condizionamento, siamo interessati anche noi ad avere un attore noto, purché sia in parte.

Dove girerete?
Daniele. Abbiamo immaginato di girarlo in varie periferie romane. Et in terra pax era ambientato a Corviale, ma nei vari paesi del mondo dove il film è arrivato ognuno ci ha visto un quartiere della sua città. Il centro delle città è riconoscibile sempre, le periferie si somigliano tutte, da Bari a Tokyo, da Istanbul a Mosca tutti hanno riconosciuto la propria città e le storie che possono accadere in qualsiasi periferia. 

Qui a Pesaro è in corso un omaggio a Pasolini. Voi vi sentite in qualche modo post pasoliniani?

Daniele. Ce l’hanno detto in tanti. Parlare delle periferie di Roma e usare la musica barocca, crea un sillogismo immediato… Ovviamente Pasolini l’abbiamo sempre amato, abbiamo letto le sue cose. 
Matteo. Ci piacerebbe essere post pasoliniani nel senso di proseguire quelle intuizioni incredibili che aveva avuto, quasi profetiche, specie per quanto riguarda la perdita dell’anima popolare. 

Pasolinana è anche la radiografia di un degrado culturale diffuso della nostra società e di una definitiva perdita dell’innocenza dei borgatari.
Daniele. Secondo me c’è una sorta di appiattimento dovuto anche alla cultura televisiva che propone modelli ai quali le persone inconsapevolmente iniziano a tendere senza poterli mai raggiungere.
Matteo. Lo stesso Walter Siti con Troppi paradisi, il suo libro precedente, aveva affrontato il tema della televisione. Ci piacerebbe proseguire questo discorso per parlare di un degrado che non è quello della periferia, è un contagio generale, che riguarda anche chi gestisce il potere. In Mafia Capitale ci sono personaggi della Banda della Magliana che parlano con il politico di turno, che a sua volta si accorda con Buzzi, responsabile di una cooperativa che fatturava 30 milioni di euro l’anno. Questo è il contagio: quando mondi diversi entrano in contatto tra loro e si compenetrano in modo patologico.

Con Siti avete discusso?
Daniele. Abbiamo fatto varie lunghe chiacchierate con lui per parlare del libro, di alcuni aspetti dei personaggi… Ci ha svelato alcuni retroscena, alcune cose che non ha messo nel libro che noi abbiamo inserito nella sceneggiatura. L’ha letta poco tempo fa e gli è piaciuta molto.  

Stasera rivedrete Et in terra pax?
Matteo. Assolutamente no, l’abbiamo visto troppe volte. Lo rivedrò quando sarà ufficialmente diventato il passato. 

Cristiana Paternò
24 Giugno 2015

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