Bruno Bozzetto: “Io di Sergio Leone non sapevo nulla”

Pubblichiamo l'intervista a Bruno Bozzetto realizzata per il numero 22 della rivista 8 1/2 nell'ambito della sezione Anniversari A 50 anni da... dedicata proprio a West & Soda


Bozzetto, un anno prima del suo film uscì Per un pugno di dollari, apripista dello ‘spaghetti western’? Ha subìto delle influenze per cui ha poi deciso di realizzare West & Soda?
Io di Leone non sapevo nulla, lui di me non sapeva nulla, forse noi abbiamo iniziato a lavorare prima di lui, di certo non stimolati dal suo film. Però noi abbiamo finito dopo.

Ma aveva per caso conosciuto Sergio Leone?
Molti anni dopo sono andato a trovarlo a Roma, ma non parlammo di quei film. Non ricordo nemmeno esattamente il motivo della visita: parlammo un po’ di tutto, di certo di animazione, può essere che stessi studiando qualcosa per cui volevo chiedere il suo parere. Fu molto simpatico, ma non abbiamo affrontato questa faccenda del western.

Perché, allora, ha scelto di esordire nel lungometraggio proprio con un western?
Quella del western è una trama facilissima che si ripete sempre, che ci ha permesso di fare tutte le digressioni possibili tramite l’umorismo. Le mucche, realizzate come abbiamo fatto noi, per esempio, in una storia seria avrebbero disturbato, ma in una storia facile, già segnata ma solo in tratti molto essenziali, ha fatto sì che fossero divertenti per il pubblico e questo ci ha liberato da molti problemi. Poi, io adoro il western.

Cosa in particolare ama del genere e ha cercato di mantenere nel film?

Prima di tutto l’ambientazione, sono un po’ i luoghi del mio inconscio: gli spazi ampi, i deserti, le montagne. Devo ammettere che la decisione finale di fare il film è nata grazie a Giovanni Mulazzani, lo scenografo che, con un’abilità eccezionale nel disegno, mi ha saputo mostrare davvero gli ambienti classici del western, pur mantenendo un’originalità grafica assoluta. Devo però ad Attilio Giovannini certe lezioni, come quelle su campi e controcampi, gli ingressi in scena e le uscite, ma anche certi tagli, insomma è stato proprio un professore, come effettivamente era.

Era il suo primo lungometraggio: cosa l’ha fatta sentire sicuro a tal punto da voler rischiare di essere anche produttore, oltre che regista?

Mio padre, che è stato il più grande personaggio della mia vita, senza cui non avrei avuto il mio studio – mi ha costruito, disegnando, programmando e facendola realizzare, la macchina da presa che usavo, solo sulla base di quello che gli raccontavo; così come mi ha creato, letteralmente, con le sue mani, il mio primo tavolo da ripresa – quando ho deciso di fare il film, impegnando tutto il mio piccolo gruppo di lavoro su questo, mi ha domandato: ‘Bruno, se tutto quello che stiamo guadagnando con la pubblicità lo investissimo nel film e dovesse andar male, proprio da perdere tutto, potremmo sopravvivere dopo questo fiasco?’. La mia risposta fu affermativa e lui disse: ‘allora facciamolo!’. Questo è stato il ragionamento produttivo!

E così, sulla base di questo ‘ragionamento’, sono nati anche i personaggi…
Un gran casino, soprattutto il disegno! Ho avuto accanto un grandissimo, Guido Manuli: i disegni nascevano dalle parole, dal raccontarci come volevamo il personaggio, diventavano schizzi ‘rough’, come faccio di solito io, che buttavo giù per far capire il tipo, poi venivano ripresi da Guido e manipolati, poi di nuovo tornavano a me, che li lavoravo ancora, poi di nuovo a lui e via così; in generale, li abbiamo realizzati insieme, anche se il suo zampino è molto forte. Lui era quello che concretizzava quelle cose che io non definivo nei dettagli.

Il film è indubbiamente spassoso per lo spettatore, ma c’è stato un episodio spassoso anche nella lavorazione?
Beh, almeno un paio! Fanno davvero morir dal ridere. Il primo è frutto di una delle tante sperimentazioni: quando il Cattivissimo sorride ha un dente d’oro che riflette la luce, ebbene quel riflesso fu una cosa nuova per noi da fare; facemmo la ripresa prima del dente d’oro, incluso il volto, in animazione, poi nel punto corrispondente al dente siamo tornati indietro con la pellicola, riprendendo la scena identica però… era tutto coperto con un cartone nero tranne un buco, corrispondente al dente, sotto cui c’era una lampada, che ad ogni fotogramma si faceva ruotare un pochino, che creava un luccichio, incontrollato, che però funzionava per far brillare il dente.  L’altro riguarda il rumorista. Una volta vide alcune proiezioni di un rullo, per memorizzarlo, ma succedendo questo verso l’ora di pranzo andammo poi a mangiare prima di registrare: a tavola bevve due o tre bicchieri di vino e quando siamo tornati in sala doppiaggio, andando a memoria, non riuscì ad imbroccare un rumore giusto, non uno dico!

West & Soda appartiene allo Storia del cinema d’animazione…

Ma anche al presente! Le mie figlie gemelle hanno curato la lavorazione in HD del film, non senza vicissitudini per la delicatezza del trattamento della pellicola originale, da cui siamo partiti per questo progetto, che dopo cinquant’anni inizia a perdere la definizione, i colori, cosa che comporta un importante intervento dell’elettronica, che però permette di fare miracoli. È stata un’operazione lunga e costosa, anche perché fatta tutta a nostro rischio e pericolo, senza aver sin da subito la garanzia di una distribuzione: si procede nella speranza, senza nessuna conferma. 

Nicole Bianchi
24 Novembre 2015

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