Bouli Lanners, tra il western ed Ettore Scola

Il cineasta belga rende omaggio all'autore italiano: "Ho rivisto recentemente alcuni film di Ettore Scola, sono magnifici. Brutti, sporchi e cattivi, ma soprattutto Una giornata particolare"


BERLINO – Mentre si avvicina la fine del mondo, due ragazzi ritardati sono in fuga tra paesaggi sconfinati percorsi da Cochise e Gilou (Albert Dupontel e Bouli Lanners) alla ricerca di un telefono rubato, da un signore che dice di chiamarsi Gesù, da un vecchietto debole ma paterno (Michael Lonsdale) e da un prete distinto (Max Von Sydow). È il mondo sognante e surreale del belga Bouli Lanners, che ha portato al Panorama della Berlinale il suo The first, the last, road movie sul senso della vita che mescola western, noir e commedia.

I due protagonisti sono i più deboli e i più perseguitati… Questo è anche un film politico?

Anche se ho eliminato ogni aspetto sociale, visto che il film è ambientato in un luogo indefinito, The first the last racconta la società attraverso i due protagonisti: persone in migrazione permanente, che cercano di arrivare da qualche parte ma vengono sistematicamente respinti. Ho riportato una visione della società che basa tutti i suoi rapporti sulla paura ed elimina le relazioni umane.

È stata proprio la paura il punto di partenza?

Siamo passati dalla società della malinconia a quella della paura. Oggi c’è una sensazione molto forte di fine del mondo alimentata dall’attualità politica, da Daesh, dal terrorismo, dalle banche in crisi, dallo stato del pianeta e dall’allarme ambientalista, dalle scadenze pressanti: ci dicono che se non cambiamo stile di vita, tra non molto il mondo collasserà. Per la prima volta da secoli non abbiamo uno sguardo fiducioso verso il futuro. Il futuro ci fa paura. 

Una paura universale, ma anche personale…
C’è un parallelismo tra il personaggio di Gilou, che ha paura di morire e sente la sua scadenza avvicinarsi perché è malato, e la paura della fine del mondo. Volevo fare questo film prima che gli avvenimenti politici alimentassero questa intenzione. È importante parlare della paura e dire che finché l’uomo è al centro, le cose sono possibili. Bisogna esprimere l’amore e pensare che, anche se c’è una scadenza, bisogna vivere a fondo con più umanità possibile.

Ci sono molti parallelismi con Dio esiste e vie a Bruxelles del suo collega Van Dormael.

È strano che io e Van Dormael abbiamo scritto due film così vicini nello stesso periodo. La sua però è una favola, mentre nel mio il misticismo è reale perché sono credente. Trovavo importante inserire questa dimensione, senza parlare di Dio ma mettendolo in scena in modo divertente, come presenza spirituale che fa parte di una ricerca filosofica molto forte nel mio percorso personale.

Il film racchiude molti generi, lei come lo definirebbe?

Per me è un western contemporaneo metafisico-esistenziale con un finale felice, che ingloba un road movie e un noir. È uno strano incrocio tra tutti i generi che amo, in una storia che mi ha permesso di mescolarli tutti.

Lo considera il suo film più personale?
Assolutamente sì, a un certo punto sono diventato il personaggio di Gilou perché avevo la sua stessa patologia cardiaca e sono stato operato. Mi sono davvero messo a nudo. Ciò che dico nel film l’ho applicato a me stesso: Vivere non è solo respirare. Lo considero un film che chiude un ciclo e sono contento che sia a Berlino, dove tutto è cominciato 11 anni fa col mio primo film.

Perché ha voluto attori come Max Von Sydow e Michale Lonsdale?

Nel caso di Lonsdale serviva un personaggio molto anziano con i capelli lunghi, sapevo che è molto credente e che poteva funzionare nella mia dinamica di ricerca di un padre spirituale. Una volta che lui ha accettato serviva un attore del suo stesso livello e ho pensato a Max Von Sydow, che si porta dietro una serie di fantasmi legati al Settimo sigillo e a L’esorcista.

Nel cinema italiano c’è qualcosa che ama particolarmente?
Ho rivisto recentemente alcuni film di Ettore Scola, sono magnifici. Brutti, sporchi e cattivi mi aveva traumatizzato quando ero piccolo perché non vedevo la favola, ma mi sembrava tutto reale e mi sentivo in empatia con i personaggi. Quando l’ho rivisto da grande ho ritrovato le stesse sensazioni forti. Ma il film più bello di Scola è Una giornata particolare. Lui diceva una cosa molto bella e molto vera: che il teatro è fermo, ma il cinema si muove, e ogni film si rinnova e si trasforma a seconda delle persone che se ne appropriano.

Michela Greco
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