Federico Micali: al cinema Universale lo spettacolo era il pubblico

Un cinema di quarta visione è il protagonista della commedia L'Universale in concorso al Bif&st. Ma è anche il racconto di tre amici cresciuti intorno a quel cinema e dei loro destini incrociati


BARI. “Tornatore ha detto che quando chiude una sala cinematografica, si spegne un occhio della città”, ricorda Federico Micali che un cinema popolare e periferico, realmente esistito a Firenze dagli anni ’50 agli anni ‘80, l’ha riaperto o meglio l’ha fatto rivivere nella sua opera prima L’Universale, commedia in concorso nella sezione Nuove proposte del Bif&st.
Il cinema Universale è stato un luogo dove per Micali, classe 1971, il vero spettacolo non era il film, commerciale o d’autore programmato, ma il pubblico che lo frequentava e si lasciava andare a commenti pesanti e coloriti mentre scorrevano le immagini di un peplum scollacciato, di un western romantico, di un classico di Kurosawa, del censurato Ultimo tango a Parigi, dello scatenato Jesus Christ Superstar. “Una situazione dadaista in un contesto pop” sentenzia uno dei protagonisti del film.

Ma L’Universale è anche e soprattutto il racconto di tre amici – Tommaso, Alice e Marcello – cresciuti intorno a quel cinema e dei loro destini che s’intrecciano, si perdono e si ritrovano passando per gli anni ‘70, tra sogni e sconfitte di una generazione. Le loro storie si mescolano con altre storie private: quelle della cassiera, del proiezionista, della maschera, del direttore programmista, di un marito tradito e lasciato. Insomma tra le scomode poltroncine di legno c’è un pezzo di storia e società del nostro paese, narrata dal regista con simpatia, comprensione verso i personaggi e anche con un po’ di complicità.
Dopo l’anteprima il 12 aprile al Teatro Verdi di Firenze, il film, esce il 14 aprile con una distribuzione indipendente, L’occhio e la luna, con il supporto de Lo scrittoio. Il cast del film si compone di Francesco Turbanti, Matilda Lutz, Robin Mugnaini, Claudio Bigagli, Paolo Hendel, Maurizio Lombardi, Anna Meacci e Vauro Senesi.

Che cosa ha rappresentato il cinema Universale per i fiorentini?
E’ stato un cinema mitico per la città, chiunque, dai 45 anni in su, ha un sacco di storie e aneddoti da narrare. Una sala popolare di terza/quarta visione che nasce alla fine degli anni ‘50 nella prima periferia fiorentina, appena fuori Porta San Frediano. Aveva un pubblico che interagiva molto con quanto proiettato sullo schermo, demistificava il film.

Poi a cavallo degli anni ’60 e ’70 che cosa è accaduto?
E’ diventato un cinema d’essai frequentato dal movimento studentesco, dai militanti politici che hanno comunque recepito quel modo di interagire durante la proiezione. Così è sempre stato un luogo libero, dove bevevi vino, fumavi canne.

Un luogo di esperienze curiose, straordinarie e irripetibili…
Che ha accompagnato i passaggi epocali e generazionali di un città. Proprio partendo da questo cinema, abbiamo sceneggiato delle storie, cominciando dai tre bambini amici che utilizzano la sala come campo di gioco, e poi crescono e assorbono il clima che si respira nel cinema e nella società.

Singolare è la coincidenza che riguarda Francesco Turbanti, che interpreta Tommaso, il figlio del proiezionista.

Francesco quando ha raccontato al padre che aveva fatto il provino per questo film, ha scoperto che i suoi genitori di Grosseto, quando studiavano all’università di Firenze frequentavano quella sala, tant’è che sul frigorifero della casa fiorentina era d’obbligo la locandina dell’Universale.

Il film non è solo il ricordo di un luogo mitico, diventato leggenda.
Il film ci dice quanto sia importante anche per il cinema il dove e il come il film viene visto. Nei titoli di coda c’è una dedica alle piccole sale resistenti che sono fondamentali per un film. E’ grazie a loro che l’esperienza cinematografica non finisce con la visione, ma continua subito dopo con lo scambio d’opinioni con il vicino di poltrona. Insomma c’è un prima e un dopo come per una partita di calcio.

Nel 2008 aveva realizzato un documentario su questo cinema.
Per quasi due anni, alla fine degli anni ’80 ho ‘vissuto’ all’interno dell’Universale assorbendo racconti, aneddoti che sono poi, in piccola parte, confluiti nel mio documentario Cinema Universale d’essai. Lì ho visto Miranda di Tinto Brass, e vi lascio immaginare il tifo da stadio e i commenti che accompagnavano le varie performance sessuali. Ho conosciuto una sala divertente, ma era rimasta la parte più giocosa e sguaiata del pubblico. In verità prima ancora che lo frequentassi gli amici più grandi ci parlavano di questo cinema mitico, dove era entrata perfino una Vespa a motore acceso, dove erano stati liberati dei piccioni.

Ha mostrato gli anni ’70, che non ha vissuto. Come ha fatto a sintonizzarsi con quella stagione?
Ho interiorizzato l’occasione mancata, e ho capito che valeva la pena raccontare questa vicenda, non solo per Firenze, anche se la città attende questo film. Perciò ho voluto una sceneggiatrice come Heidrun Schleef che ha vissuto quegli anni e che, proprio perché non fiorentina, ha deprovincializzato il racconto.

C’è un’attenzione particolare agli anni ’70?
Sì quella stagione politica è stata per me un riferimento importante. Ho vissuto in modo intenso e forte i primi anni Duemila, realizzando sia Genova senza risposte, un documentario girato durante il G8 di Genova del 2001, sia Firenze città aperta sul social forum europeo del 2002. Una parte di questo movimento, i più vecchi avevano radici negli anni ’70. Indubbiamente guardo a quel periodo ma lo faccio con gli occhi di chi non ha vissuto.

Dopo la chiusura  che ne è stato dell’ex cinema Universale?
E’ diventato negli anni ’90 una discoteca pretenziosa e alla moda, poi di nuovo una chiusura e ora stanno costruendo degli appartamenti.

Bari 2016

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