Paolo Virzì: “Come sono belle le donne un po’ sbagliate”

A Cannes, alla Quinzaine des Réalisateurs, e in sala dal 17 maggio con 01 Distribution la commedia avventurosa e tutta al femminile del regista toscano con Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti


Matte da slegare sono Beatrice e Donatella, le protagoniste della “commedia avventurosa” di Paolo Virzì, La pazza gioia, che tra una settimana debutta a Cannes, nella Quinzaine des Réalisateurs. Ma intanto regista e interpreti l’hanno presentato alla stampa a Roma, accolti da applausi, risate e momenti di commozione. Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti danno vita alla fuga di due donne sottoposte a misura di sicurezza e ospiti di una comunità terapeutica, una strana coppia al centro di una storia di amicizia e redenzione. La prima, Beatrice Morandini Valdirana, è un’istrionica bipolare di ricco lignaggio, intima a suo dire del “presidente” Berlusconi, capace di dilapidare un patrimonio con l’amante pregiudicato; Donatella Morelli è una ragazza proletaria, chiusa in sé e magrissima, affetta da una depressione grave, con tentativi di suicidio e un tragico segreto a tormentarla. “I personaggi femminili – ha detto Paolo Virzì – mi interessano da sempre e riempiono i miei film, è una materia narrativa formidabile, specie se c’è da raccontare donne non virtuose, escluse, ‘sbagliate’. Queste due le ho amate moltissimo, sono una grande coppia comica, buffa e struggente, erano bellissime da inquadrare e soprattutto riportavano a quella che per me è la lezione del film: non c’è miglior terapia dell’amore”.

La sceneggiatura, scritta con Francesca Archibugi, complice di lunga data e autrice, anni fa, con Il grande cocomero, di un altro film importante sul tema del disturbo mentale e della cura, nasce anche dall’incontro di Virzì con l’antipsichiatria, un incontro propiziato da un bel documentario, Il viaggio di Marco Cavallo, che era al Festival di Torino quando il regista livornese ne era guest director (leggi l’articolo di Cinecittà News). E sono tanti gli psichiatri citati e ringraziati nei titoli di coda di un film che mostra anche la realtà durissima degli OPG, gli ospedali giudiziari. Poi c’è la fascinazione, tutta cinematografica, di veder recitare insieme “queste due creature”, come le chiama lui. “Le ho viste per la prima volta insieme sul set de Il capitale umano. Micaela, che era incinta di Anna, mi è venuta a trovare e Valeria l’ha presa per mano, trascinandola quasi. Quell’immagine mi è rimasta nel cuore…”. Prodotto da Lotus, una società di Leone Film Group, e da Rai Cinema, La pazza gioia uscirà in 400 copie per 01 Distribution il 17 maggio.

Virzì,  considera la Quinzaine la collocazione giusta per il film?
E’ stato un piacere e una sorpresa essere selezionato a Cannes. Eravamo pronti a uscire il 3 marzo, c’erano già le locandine stampate con quella data. Ma a fine gennaio è arrivata lettera dal delegato della Quinzaine, Édouard Waintrop, una lettera talmente toccante che non potevo dire di no. Da spettatore e anche da ex direttore di festival ho sempre amato la Quinzaine. Poi Cannes è una calamita per l’ego dei registi. Valeria, che è una habitué, ci guiderà.

Alla Quinzaine sono stati selezionati anche Marco Bellocchio e Claudio Giovannesi.

Sì, è bello condividere la scena con due cineasti così diversi: Claudio è un nostro ex allievo, mio e di Francesca Archibugi, Bellocchio un monumento al cinema italiano d’autore.

Qual è il primo spunto del film?
In un certo senso tutti i miei personaggi sono casi clinici, la psicopatologia corre sotto le nostre storie, è quasi sempre il cuore della narrativa letteraria e cinematografica. Sul set de Il capitale umano immaginammo un finale diverso per il personaggio di Valeria, che facesse finta di andare verso il ricevimento, dove la chiamava il marito, ma poi si buttasse a correre verso il burrone, togliendosi le scarpe con i tacchi. Avevo preparato per lei una controfigura, ma si è messa a correre sul serio divertendosi molto. Insomma, quella è stata la prima scena di Beatrice.

Ha scritto la sceneggiatura con Francesca Archibugi, che dice di considerare la sua Lucy dei Peanuts. Aveva bisogno di uno sguardo femminile?
Collaboriamo da sempre e condividiamo la passione per la letteratura e per i matti. Non è la mia quota rosa, anzi scherzando dico che scrive bene come un uomo. 

Nel suo film ci sono rimandi ad altre eroine femminili della sua filmografia, in particolare la madre de “La prima cosa bella”.
Mi fa piacere pensare che stiamo mettendo insieme un macro film lungo 12 film. Racconto storie di disuguaglianza, scandaglio la Toscana in lungo e in largo, da Livorno a Lucca, da Pistoia a Piombino… E poi mi interessano i personaggi femminili, forse sono un po’ donna anch’io, da piccolo ho letto Piccole donne oltre a Jack London. I personaggi femminili che mi interessano sono donne un po’ sbagliare, non edificanti, a volte stigmatizzate come poco di buono. Madame Bovary, Anna Karenina, le ragazze di Pietrangeli, Scola e Allen. Devo dire che preferisco Io la conoscevo bene al Sorpasso. Spero di non aver esaurito il mio lato femminile, di continuare. 

Perché pensa che la follia ci riguardi tutti così tanto?
Dalla follia si preferisce allontanare lo sguardo, i pazzi meglio che stiano lontani, reclusi. Invece questa cosa ci riguarda tutti: la tristezza, l’infelicità, l’angoscia. Ci ha fatto bene avere sul set delle pazienti del centro di salute mentale di Pistoia e Montecatini. Sono state liberatorie. A me hanno detto che ho problema nella regolazione dell’umore. Non bisogna avere paura dei matti, ma di chi ha paura della pazzia.

Le dispiace se si paragona “La pazza gioia” a “Thelma e Louise” come è stato fatto?
E’ vero, Waintrop ha detto che è Thelma e Louise nel mondo dei lunatici. Ma io, se ho citato quel film, l’ho fatto involontariamente. Ne ricordo solo il finale che era molto bello. Sento di avere tanti debiti, cinematografici e letterari ma non tanto con Thelma e Louise. Piuttosto Qualcuno volò sul nido del cuculo, con la libidine di Jack Nicholson, la sua voglia di andare a pesca, di trombare, di ridere. E poi ci sono tante citazioni da Un tram che si chiama desiderio, a cui abbiamo rubato intere battute, a Dov’è la libertà di Rossellini con Totò che alla fine vuole tornare in prigione. 

Considera “La pazza gioia” un film terapia?

E’ una storia di accudimento e di cura tra due pazienti ritenute pericolose. Alla fine tutti i film sono una terapia, aiutano almeno a sopportare meglio le cose della vita, ad accettare senza riserve la natura umana, con i suoi lati sconvenienti e, a volte spaventosi. E La pazza gioia dice che la cura è l’amore.

Cristiana Paternò
06 Maggio 2016

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