Carlo Cotti: viaggio nell’opera lirica, da Callas a Tebaldi

Il Bel Canto e non solo... prodotto e distribuito in DVD da Istituto Luce Cinecittà, è un viaggio tra emozioni e ricordi dell’opera lirica, costruito quasi per intero con immagini dell’Archivio Luce


Dall’indimenticabile duello Maria Callas – Renata Tebaldi, alle immagini di Toscanini, Mascagni, fino a Claudio Abbado, dalla Scala ai Carri di Tespi alla Fenice, ai Teatri di Burattini, da Beniamino Gigli a Del Monaco, da Di Stefano a Pavarotti. Il film documentario Il Bel Canto e non solo… di Carlo Cotti, presentato all’Auditorium Parco della musica il 10 maggio, prodotto e distribuito in DVD da Istituto Luce Cinecittà, è un viaggio tra emozioni e ricordi dell’opera lirica, costruito quasi per intero con immagini uniche dell’Archivio Luce.
Cotti, melomane da sempre, ci guida per mano al ‘recitar cantando’ in un percorso che non è storico/cronologico, ma che si compone di episodi e frammenti, con le musiche di Verdi, Donizetti, Puccini, Rossini, Boito, Spontini e Bellini.

Cotti, assistente di Joseph Losey ne L’assassinio di Trotskij, di Franco Zeffirelli in Fratello sole, sorella luna, di John Huston in Lettera al Kremlino, di Alberto Lattuada e Nanni Loy, ha diretto in passato Partire in quarta (Bille en tête) e Sposerò Simon le Bon. “Amo tutta la musica, non solo il Bel canto, da Mina ai Beatles – visti a Milano al velodromo Vigorelli nel giugno 1965 – a tutti i francesi e, ahi ahi ahi, per motivi professionali, nel 1986 ho scoperto i Duran Duran”.

Come è nata la sua passione per l’opera lirica?
Sono un giovane del 1939, la tv era ancora lontana e la Radio era Regina, per me lo è ancora. A casa, dopo i disastri della guerra, la radio e solo musica. Dopo il pranzo serale, un rito, silenzio assoluto, concerti di musica lirica e classica, orchestre di musica leggere. Era un piacere ascoltare i miei, nonna compresa amante del Bel canto, che parlavano dei cantanti, dei direttori d’orchestra, dei nostri grandi musicisti e la cosa che mi divertiva di più era che i toni si alzavano quando non erano d’accordo sui nomi.

Una passione che ha poi coltivato nel cinema, a cominciare da La traviata film per il quale è stato assistente di Zeffirelli, e soprattutto a teatro.
Nel 1973 Pippo Crivelli mi offrì di essere suo assistente per quel “Don Giovanni” che avevo visto nascere a Palermo, durante le riprese di Fratello sole sorella luna. Poi assistente di Alberto Lattuada per “La vestale” al Maggio Musicale fiorentino; al Massimo di Palermo come regista de “Il paese dei campanelli”; a Milano regista al teatro dell’Arte per “Amore e Morte” nell’opera pucciniana; a Treviso al teatro Comunale la rossiniana “L’italiana in Algeri”. Il Bel canto è sempre in me, aspettando di realizzare un film sul mondo dell’opera, che mi insegue dal lontano 1973.

Che struttura narrativa ha scelto per il documentario?
Ho imparato, da quando ero aiuto regista, che un film deve nascere da una sceneggiatura, scritta. Ho visionato più di 12 ore di materiale dell’archivio Luce, grazie a Nathalie Giacobino, perdendomi e rivivendo alcuni momenti già vissuti in prima persona. Dopo 2 mesi è nato un tentative script che è piaciuto. Nel copione ci  sono personaggi che, anche senza volerlo, o scompaiono o chiedono visibilità più degli altri, come, è accaduto per due protagoniste indiscusse: Maria Callas e Renata Tebaldi.

L’archivio Luce si è rivelato prezioso per il materiale disponibile?
Prezioso in toto: musica, voci, orchestre, il bel canto in prima linea. E poiché nel titolo del documentario c’è “e non solo”, ho scelto anche notizie, legate alla musica, senza esserlo. Come i grandi incontri del secolo scorso. Luchino Visconti  e Franco Zeffirelli, in rare immagini del 1949, a Boboli, dove stavano preparando il “Troilo e Cressida”, per il Maggio Musicale Fiorentino, con Girotti, Gassman, Mastroianni, De Lullo, Ricci e Benassi.

Come è avvenuta la selezione dei materiali?
Nella mia sceneggiatura, avevo legato i vari inserti, con una voce che raccontava. Patrizia Penzo, la montatrice, meravigliata e contenta, in primis mi ha fatto registrare il commento che legava il documentario.

Perché ha voluto che il finale fosse un omaggio a Zeffirelli e alla prima del suo film opera La traviata?

Un omaggio dovuto, è stato un grande e lo è ancora dell’Opera. Ricordo la sua “Bohème” che, dal 1953, continua ad essere rappresentata dal Teatro alla Scala di Milano al Metropolitan di New York.

Nel film si percepisce una simpatia, una preferenza per Maria Callas. E’ una sensazione corretta?
Sì, ma con una precisazione. Sono stato per anni un fan di Renata Tebaldi finché la voce della Callas, le sue interpretazioni da vera tragica, hanno avuto il sopravvento. Basta ricordare cosa scrisse Eugenio Montale, allora critico musicale del ‘Corriere della Sera’: “Luchino Visconti e Maria Callas, l’incontro che creò il Mito”. Le sue interpretazioni erano visive, Voce e Volto, peccato che non esistano filmati dei suoi anni ruggenti alla Scala.
Nel 1973 incontro Maria Callas e Pippo di Stefano per un progetto “Le eroine di Maria Callas” con duetti, a solo, dei due grandi artisti, e m’innamoro dell’onestà di Maria Callas. Parto per i sopralluoghi a Edimburgo, quando torno doccia fredda. Callas che aveva accettato, sicuramente per aiutare di nuovo di Stefano, mi dice: “Cotti, non se ne dispiaccia, avevo accettato il suo nome, suggeritomi da Joseph Losey, ma non posso cantare con la voce di allora e con gli occhi di adesso… con quello che hanno vissuto e che non nascondono. Si faccia una corazza per difendersi dalle cattiverie del mondo, anche con la musica che ci avvolge e che dovrebbe migliorarle”.

Ha voluto anche ricordare la sua città d’origine, la Milano bombardata.
A Milano, alla Scala, al Piccolo Teatro di Strehler/Grassi, devo molto. Ricordo, le bombe su Milano,  distrutta, le parole di Salvatore Quasimodo, la Pietà Rondanini salvata, il teatro della Scala, ferito e quelle immagini della ricostruzione della Scala. E’ un omaggio a Il Bel Canto sempre vivo, a tutta l’Italia e non solo Milano.

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