Jodie Foster: nel cuore della Crisi

A Cannes con il suo nuovo film da regista, 'Money Monster', l'attrice ci racconta il suo rapporto con il denaro, con la crisi finanziaria e con i media.


CANNES – Lee Gates è un esperto di finanza che conduce un programma di successo chiamato “Money Monster”. Durante una diretta televisiva, Gates viene preso in ostaggio da Kyle Budwell, un giovane uomo armato e disperato che ha perso tutti i suoi soldi dopo aver seguito un consiglio finanziario di Gates in tv. Il film è interpretato da George Clooney e Julia Roberts, oltre che dal giovane e promettente Jack O’Connell. Esce in Italia il 12 maggio, e viene presentato in anteprima al Festival di Cannes fuori concorso. Abbiamo chiesto alla regista, in un incontro ristretto, della sua particolare visione di questa storia e del suo rapporto con i media, con il denaro e con la crisi finanziaria.

Come è nata l’idea di raccontare questa storia? E in cosa differisce dagli altri film che parlano dello stesso argomento?

Lavorando di scrittura, piano piano, sono venuti fuori tutti i temi, con estrema chiarezza. Mi sono piaciuti gli altri film che parlano della crisi, ma proprio per questo abbiamo voluto affrontare il tema da un punto di vista diverso. In Margin Call non se ne parlava veramente, era qualcosa di strano che accadeva ‘là fuori’. Ne La grande scommessa il punto era che nessuno ci capisce niente. Era tutto concentrato su quanto fosse confusa la situazione. In questo caso ci siamo concentrati sui personaggi e cercato di portare l’audience direttamente dentro al cuore del problema.

Qual è il suo rapporto con il denaro?

Beh, fortunatamente non me ne devo preoccupare. Mia madre doveva, c’era il rischio di perdere la casa, ma per fortuna posso supportare la mia famiglia. Sono cresciuta pensando che il denaro sia un valore, come tutti gli americani. Nella nostra cultura sei misurabile, è il ‘value system’. Se sei famoso, ci sei dentro, altrimenti no. Non abbiamo un vero senso dell’identità.

E quali sono, per lei, i valori veramente importanti?

L’esperienza. Ci sono cose che non sono in grado di descrivere a parole. E per trovare un modo di descriverle, faccio film. Questo non ha niente a che vedere con ciò che è ‘ufficialmente approvato’, come un diploma o un Oscar.

Sembra che il cinema americano stia uscendo dallo ‘star system’ per entrare in una sorta di ‘brand system’. Pensiamo al grande successo dei cinecomic. Il suo film sembra appartenere a un’altra era, concentrandosi su storia e attori…

C’è ancora qualcuno che fa film senza super-eroi. Ho scelto George semplicemente perché era il tipo adatto per interpretare il personaggio. Non ha problemi a calarsi nella parte del bastardo e lo fa con professionalità e disinvoltura.

Avete fatto molte prove?

Non avevamo tempo. Con George siamo riusciti a provare le scene un paio di giorni. Però abbiamo parlato moltissimo prima delle riprese e siamo riusciti a rendere il personaggio tridimensionale. All’inizio è odioso, poi pian piano si comincia ad amarlo. Lo stesso si dica per il personaggio di O’Connell, con i suoi scatti di rabbia e le sue insicurezze, le sue esplosioni.

Com’è cambiato il mondo del cinema U.S.A. negli ultimi anni?

L’economia globale ha cambiato tutto. In Francia fanno i formaggi, noi facciamo media. E’ vero che siamo nell’epoca del brand, si rischia l’’effetto Starbucks’, con un’omologazione del prodotto.

Sente la mancanza del mestiere di attrice?

Mi piace farlo, ma non ne ho un bisogno impellente. Se ci saranno progetti interessanti per me lo farò di nuovo, ma ora sono concentrata sulla regia e sull’evolvermi in continuazione. Sono passati un po’ di anni tra un suo film e l’altro… Non è mai facile metterne su uno. Poi probabilmente non ero pronta a lasciare i miei figli.

Qual è l’insegnamento più importante che sente di aver lasciato loro?

Fare la cosa giusta. Anche se non è così semplice. Il concetto di ‘giusto’ è relativo.

Ha diretto episodi di Orange is the new black e House of cards. Immagino lei ami le serie tv. Qual è la sua preferita?

Ho amato molto Breaking Bad.

Qual è il suo rapporto con i social media?

Non li uso, ma penso che siano strumenti utili a creare connessioni tra persone che magari in altri contesti non riuscirebbero a incontrarsi. 

Andrea Guglielmino
12 Maggio 2016

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