Alain Guiraudie: non esiste la cultura omosessuale

Il regista torna a Cannes con ‘Rester Vertical’, dopo aver vino la palma queer e il premio alla regia di Un certain regard tre anni fa con ‘Lo sconosciuto del lago’


CANNES – Léo è uno sceneggiatore senza idee che per cercare l’ispirazione si rifugia nella campagna francese, sperando anche di incontrare un branco di lupi, che lo affascinano molto. Incontra una bella contadina, tra i due nasce apparentemente l’amore e lei resta incinta. Ma ben presto i nodi vengono al pettine: Léo non la ama veramente, preferisce gli uomini (e comunque non è particolarmente preso da lei) e quello che voleva era solo avere un figlio suo, senza una compagna tra le scatole. Il mestiere di papà però è più difficile di quel che sembra. Léo perde le coordinate e si trova a vagare in auto senza meta, intrecciando la sua storia con quella di un vecchio malato che vive con un ragazzo, in un rapporto a metà tra una storia di sesso e una relazione padre-figlio. Il film è presentato al Festival di Cannes, e fa seguito al grande successo de Lo sconosciuto del lago, che era passato alla 66ma edizione portando a casa la Palma Queer e il premio alla regia per la sezione Un certain regard. La pellicola è particolarmente cruda ed esplicita. Si parlerà sicuramente molto della ripresa del parto dal vivo, comprensiva di sangue e umori corporei, senza alcun filtro edulcorante, delle scene di sesso e in particolare dell’ultima, in cui il protagonista aiuta a morire il suo anziano amico possedendolo con un rapporto anale. Ne parliamo con il regista.

Perché i lupi?

La prima immagine che mi è venuta in mente del film, e quella che ha fatto scaturire il processo creativo, è quella della ragazza in mezzo alla prateria che fa la guardia ai montoni. Il lupo rappresenta la parte animale di noi, quella che nessuno vuole riconoscere ma che continua a chiamarci e ad affascinarci. E’ un’immagine molto western, alla Calamity Jane. C’è tutta una tradizione leggendaria sui lupi in Francia, la bestia del Gévaudan eccetera… inoltre è un problema reale. Sono tornati i branchi e creano effettivamente parecchi grattacapi agli allevatori.

Nella sua ottica, di cosa parla esattamente il film?

Non ho scritto in maniera organizzata, mi sono lasciato trasportare e sorprendere dagli sviluppi della trama. Volevo inserire il mitologico nel reale e vice versa. Anche il montaggio è cresciuto da sé, portando a risultati inaspettati. Cercavo di sottolineare alcuni aspetti futili e renderli drammatici e alleggerire invece tutti gli eventi drammatici. Cercavo equilibrio tra tragedia e commedia. Penso che alla fina sia prevalsa la seconda. Diciamo che è la storia di un uomo alla ricerca costante di qualcosa di nuovo.

C’è un costante riferimento alla sfera sessuale…

Certamente. Il sesso è un mondo di piacere ma anche di sofferenza, ed è la matrice che dona la vita. Eros e Tanathos, come anche c’erano ne Lo sconosciuto del lago, ma qui la cosa è un po’ più complessa. Ho sperimentato tutte le situazioni possibili: io ti voglio ma tu non mi vuoi, tu mi vuoi ma io non ti voglio, ci vogliamo a vicenda, forse ci vogliamo, ma non ne siamo sicuri. Ho affrontato tutte le possibili combinazioni del desiderio. E c’è il tema della gestione del nostro lato più naturale, come ciascuno di noi è in grado di uscirne.

L’invasione dei lupi è una metafora politica?

Assolutamente no. Capisco quello che intende, c’è un grosso problema. Gli U.s.a. erigono barriere, e anche Israele, e non sappiamo come gestire le migrazioni, dove collocare questa gente. La domanda è ‘vogliamo vivere come buoni borghesi? Dobbiamo proteggerci dai poveri?’. Ma io non volevo dire questo. Non ho inserito di proposito metafore. Come le ho detto, c’è fiaba e religione, nel film. Ci sono i simboli, il sacrificio dell’agnello, e certe immagini che richiamano le pitture classiche. Anche la scena del parto, ovviamente, riprende ‘L’origine del mondo’ di Courbet. Mi è apparso tutto solo alla fine del processo di scrittura.

E’ stata una scena complicata?

Per me no, è stata facilissima. Ma devo dire che io stavo al di là del vetro, guardavo tutto su un monitor esattamente come voi spettatori. Dentro c’era la mia operatrice di regia. Se fossi stato dentro chiaramente avrei vissuto tutto in maniera più violenta. Il vero problema è trovare una donna che sia d’accordo a farsi riprendere nel dettaglio mentre partorisce.

Perché ha scelto come protagonista uno sceneggiatore in crisi creativa?

Beh, è qualcosa che mi chiedo. Potrebbe capitare anche a me, da un momento all’altro. Truffaut diceva di preferire il cinema alla vita, perché è più rassicurante, ma cosa accade quando ci si trova di fronte la crisi del foglio bianco?

Si ritiene un esponente di cultura omosessuale?

Non esiste, per me, una cultura omosessuale. Si può essere vecchi, giovani, ricchi, poveri, borghesi, e omosessuali. Ma ciascuno verrebbe da un percorso culturale diverso.

Andrea Guglielmino
12 Maggio 2016

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