Barras: la mia vita da zucchina è un mix tra Bambi e i Dardenne

L'opera prima, sceneggiata da Celine Sciamma e presentata alla Quinzaine, sarà nelle sale italiane con Teodora


CANNES – Sono solo dei pupazzi in plastilina alti 25 centimetri, ma i protagonisti di La mia vita da zucchina, presentato ieri tra scroscianti applausi alla Quinzaine des Réalisateurs, sono tra gli “attori” più intensi visti al cinema ultimamente. Opera prima di Claude Barras, il film è ispirato al libro Autobiografia di una zucchina di Gilles Paris ed è stato sceneggiato dalla raffinata penna di Celine Sciamma, regista di Tomboy e Diamante nero. Il risultato è una favola che, in appena un’ora di animazione a passo uno, crea lo struggente ritratto di un’infanzia violata che trova conforto nell’amicizia e nella condivisione. Al centro della storia c’è Zucchina, un bimbo di 9 anni che si ritrova catapultato in una casa-famiglia dopo aver accidentalmente ucciso la mamma. Il bimbo porta con sé due soli oggetti: una lattina di birra vuota in ricordo della madre alcolizzata e un aquilone su cui è disegnato un supereroe, ovvero il papà che non ha mai avuto. Prossimamente nelle sale italiane con TeodoraLa mia vita da zucchina accompagna lo spettatore su un’altalena di emozioni “ad altezza di bambino”.

Barras, quanto tempo ha richiesto la realizzazione di questo film?
Sono passati dieci anni da quando ho letto per la prima volta il libro di Gilles. Ce ne sono voluti 7 per lo sviluppo del progetto, realizzato mentre facevo altri lavori e alcuni cortometraggi, e poi 3 anni di lavorazione vera e propria in cui mi sono dedicato al 100% al film. Alla fine dei 7 anni di sviluppo ho incontrato Céline Sciamma, che ha dato la forma definitiva alla sceneggiatura.

C’e’ stata una grande trasformazione rispetto al libro da cui è tratto?
Il libro è composto da molti episodi, con uno stile di cronaca; noi abbiamo semplificato la storia mantenendo i personaggi, un certo realismo e alcune delle piccole scene che racconta. Volevo fare un film per bambini ma che parlasse di argomenti complessi, di famiglia, di amicizia. Ciò che amavo molto nel libro, rivolto soprattutto agli adulti, era la descrizione di situazioni molto dure, ma anche molto dolci. Inizia come una storia difficile ma poi finisce bene: mi sembrava importante proporre ai bambini questo tipo di racconto, perciò abbiamo aggiustato il tiro e lo abbiamo rivolto più specificamente ai più piccoli.

Che limiti vi siete posti nel raccontare una storia tanto delicata sull’infanzia, in cui un bimbo all’inizio uccide sua madre?
Avevamo paura di non trovare il modo giusto per raccontare i diversi momenti traumatici. Nel libro Zucchina uccide la madre giocando con una pistola: chiaramente è un incidente, ma il distributore ci ha detto subito che mettere in un film un bambino che gioca con una pistola ci avrebbe creato grossi problemi e allora abbiamo cercato altre soluzioni. Anche nella messa in scena, era molto chiara per noi la necessità di evocare certe situazioni, piuttosto che guardarle negli occhi. Ad esempio, la macchina da presa si ferma subito prima di posare lo sguardo sulla madre di Zucchina. 

Qual era il vostro punto di riferimento in termini di racconto “ad altezza di bambino”?

Naturalmente Truffaut, di cui ho amato moltissimo I 400 colpi, e Una tomba per le lucciole dello studio Ghibli. E poi Bambi, Ken Loach e i fratelli Dardenne. Mi sento molto vicino al loro cinema.

Il film offre anche un ritratto vivido della società che circonda questi bimbi…
Rispetto a I 400 colpi, per esempio, c’è un’inversione nel modo di raccontare la società. All’epoca, anche se la famiglia poteva essere complicata, era comunque l’unico luogo in cui si poteva vivere bene, mentre l’orfanotrofio era un ambiente molto difficile. Qui invece l’orfanotrofio diventa uno spazio in cui i bambini possono rifugiarsi e proteggersi dagli adulti che li maltrattano. E’ un modo per dire che la società è in difficoltà, che i suoi valori sono schizofrenici. Siamo educati con i bei valori dell’amicizia e della condivisione, ma poi nel mondo del lavoro ci troviamo a fare i conti con la legge del più forte. Non è bene educare i bambini con questa visione contraddittoria.

Si aspettava la bellissima accoglienza avuta alla Quinzaine?
Nemmeno nei sogni! Quando fai un film ci metti tutta la tua attenzione, la tua intelligenza e speri sempre che le persone ridano e si emozionino nei momenti giusti, ma la reazione ottenuta è andata oltre le aspettative.

Ha già in mente il prossimo film?
Posso dire che sto lavorando sulla scomparsa del mondo selvaggio, sia umano che animale, con le ultime grandi scimmie e gli ultimi popoli liberi. Lo realizzerò con la stessa tecnica di animazione.

Michela Greco
16 Maggio 2016

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