Vincent Garenq, giustizia per mia figlia

E' la storia di un'ossessione, In nome di mia figlia, il film di Vincent Garenq in uscita il 9 giugno con Good Films, con Daniel Auteuil nel ruolo del protagonista


Una vita intera dedicata a incastrare l’assassino della figlia quattordicenne, mai rientrata da una vacanza in Germania con il patrigno. E’ la storia di un’ossessione e di una vendetta, In nome di mia figlia, il film di Vincent Garenq in uscita il 9 giugno con la Good Films. Una storia vera, basata sul resoconto di André Bamberski a cui Daniel Auteuil regala una determinazione cieca e inarrestabile. Non vuole farsi giustizia da sé ma ottenere dalla magistratura una condanna per l’uomo che ha provocato l’improvvisa morte di Kalinka, avvenuta nel 1982, l’uomo che probabilmente l’ha violentata. Ma l’uomo, il dottor Dieter Krombach (Sebastian Koch), un medico che ha sposato in seconde nozze la moglie di Bamberski, dopo avergliela “rubata”, è evidentemente molto ben protetto dalle autorità locali. Che ignorano le tante incongruenze nel caso. L’assurdo tentativo di rianimarla con una serie di iniezioni quando era già morta da alcune ore, l’endovena di ferro per favorire l’abbronzatura praticata la sera prima del decesso, l’aspetto della vagina di lei… Il dottor Krombach, del resto, era presente all’autopsia della ragazza e pare abbia avuto modo di inquinare alcune prove fondamentali. Anche in seguito, quanto Bamberski riesce a farlo condannare da una corte francese, non viene estradato dal suo paese. Così la vicenda si trascina per quasi trent’anni durante i quali Bamberski non trova neanche l’appoggio della ex moglie Dany (Marie-Josèe Croze), che continuerà a lungo a negare tutto, o dell’altro figlio, che vuole restare fuori dalla vicenda. Ma tutto questo è raccontato con estrema misura nel film e con fedeltà ai documenti ufficiali. “Né io né il regista – ha spiegato Auteuil – avremmo sopportato di fare un film intriso di buoni sentimenti. E Bamberski non l’avrebbe accettato, è un uomo di grande ritegno. La storia è già sufficientemente ricca di scene toccanti, non c’era bisogno di calcare la mano”.

Garenq, cosa l’ha spinta a raccontare questa storia?
Ho letto il libro di André Bamberski e la sua testimonianza mi ha sconvolto. Non volevo fare un film su un errore giudiziario, come ho fatto nel mio secondo film, ma piuttosto concentrarmi sul personaggio, il suo sacrificio e la sua ossessione. E’ il ritratto di un padre che dedica 30 anni della sua vita a questa lotta. 

Come spiega la resistenza della magistratura tedesca a considerare il caso?
Quando abbiamo girato a Lindau, la cittadina bavarese dove si sono svolti i fatti, abbiamo trovato ancora oggi persone che sostengono l’innocenza del dottor Krombach. Era un medico in vista, un notabile, e forse allora più di oggi, negli anni ’80, questi personaggi erano protetti. Le indagini in Germania sono state condotte con negligenza e in seguito ci sono state pressioni sul governo francese per difendere Krombach. Per la Francia era un caso fastidioso che poteva portare all’incidente diplomatico. Oggi Bamberski ha creato un’associazione che aiuta i francesi con problemi con la giustizia tedesca, perché la loro magistratura tende a difendere i suoi cittadini a tutti i costi.

Ha incontrato Bamberski?
Sì, e l’ho trovato ancor più cocciuto di quanto si veda nel film. Ha un carattere particolare, è un contabile, un commercialista, un uomo rigoroso, che vuole sempre avere ragione. Proprio per questo è riuscito a portare avanti le sua lotta. E’ anche una persona molto pudica, che non esprime i suoi sentimenti e tende a riportare tutto ai fatti, ai dossier. E’ stata la mamma di Kalinka a raccontarci molti dettagli che lui aveva taciuto, come il periodo in cui la coppia era ancora insieme e viveva in Marocco, fu allora che lei conobbe Krombach di cui si innamorò.

Ha incontrato ostacoli nel raccontare questa storia di cattiva giustizia?
Ho girato due film sulla giustizia francese e un altro sui paradisi fiscali e più faccio film su queste storie vere, più trovo ostacoli a lavorare. Bamberski è stato elogiato dalla magistratura francese per la sua determinazione, che è arrivata anche a infrangere la legge pur di affermare la verità, ma poi mentre preparavamo il film ci è arrivato il divieto a girare nelle aule di tribunale.

Ha pensato da subito a Daniel Auteuil per il ruolo?
Sì, l’avevo amato in film come Un cuore in inverno. Sono cresciuto guardando i suoi film. E’ un attore che non si prepara molto, si concentra direttamente in scena. Bamberski ha apprezzato molto la mia scelta. Mi ha detto: “Amo il pudore del film e amo il pudore di Daniel”. 

Che idea si è fatto della madre di Kalinka, una donna che per decenni ha negato la responsabilità del secondo marito?
Abbiamo passato una giornata con lei nel paesino dei Pirenei dove vive. Abbiamo parlato tanto, di tutto. Più avanti le ho fatto vedere il film insieme al suo avvocato, che l’ha approvato anche se lei non ha detto niente. Del resto, come si vede nel film, è stata la giudice che ha riaperto il caso a convincerla a costituirsi parte civile. Non è mai andata fino in fondo nel raccontare la sua storia, ma alla fine ha ammesso che André aveva ragione. 

Ha avuto problemi a finanziare un film che getta una cattiva luce sulla giustizia francese?
In Francia nessun problema né con i produttori né con le tv, a parte il divieto a girare nei tribunali, in Germania invece c’è stata forte resistenza: non abbiamo trovato finanziamenti perché è stato considerato come un film anti tedesco.

Cristiana Paternò
01 Giugno 2016

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