Cristiano Bortone: la Cina e il caffè

Caffè di Cristiano Bortone, in sala dal 13 ottobre con Officine Ubu dopo l'anteprima veneziana alle Giornate degli Autori


VENEZIA – Attraverso l’elemento comune di questo prodotto così evocativo, Cafè racconta tre storie ambientate in tre parti del mondo molto lontane fra di loro. In Belgio, durante alcuni scontri di piazza, dal negozio di Hamed, un immigrato iracheno, viene rubata una preziosa caffettiera. Quando lui scopre l’identità del ladro decide di farsi vendetta da solo. In Italia, Renzo, un giovane esperto di Latte Art viene coinvolto in una rapina in una torrefazione. Ma le cose non vanno come previsto. In Cina, Ren Fei, un brillante manager, scopre che la fabbrica di cui si deve occupare rischia di distruggere una valle nello Yunnan, la bellissima regione ai confini col Laos.  

E’ il primo film di coproduzione italo-cinese ad uscire nelle sale dei due paesi, frutto di una lunga incubazione che riflette l’incontro di due culture ancora ai primi passi nella mediazione dei linguaggi, Caffè di Cristiano Bortone, evento speciale che conclude la “tre giorni” dedicata alla Cina delle Giornate degli Autori e in sala con Officine Ubu dal 13 ottobre. Ne parliamo con il regista.

Come nasce questo film dalla struttura così particolare?  

La genesi è sempre casuale. Ho un amico che è un grande appassionato di caffè, Roberto Ricci, proprietario di uno dei più importanti bar-torrefazione di Roma, il Sant’Eustachio. Ne conosce ogni aspetto e segreto, dalla coltivazione alla produzione. Parlando con lui è nata l’idea di realizzare il film per raccontare qualcos’altro attraverso questo elemento. La cioccolata, il caramello, il tocco di zenzero, come molte altre pellicole in precedenza hanno usato il gusto per raccontare emozioni. Io lo uso per riflettere sul mondo che stiamo vivendo in questo momento, giocando attorno ai tre aromi principali che diventano occasione per descrivere la realtà contemporanea. Dal fondamentalismo islamico a quello che sta provocando per reazione, ovvero chiusura e intolleranza, passando per la crisi di giovani che non riescono a trovare una strada per il proprio futuro passando per uno dei temi fondamentali, ovvero l’ecologia.  

E’ stato difficile gestire in pratica tre film contemporaneamente?  

E’ certamente il mio progetto più ambizioso fino ad ora e quello con il budget più consistente. Volevo che ogni capitolo fosse gestito da una troupe locale, volevo che fosse realistico. Quindi,ogni volta, era come ricominciare la lavorazione. Solo il direttore della fotografia Vladan Radovic è rimasto sempre lo stesso e questo ha aiutato ad amalgamare il tutto. E’ stata un’avventura entusiasmante e complicata, durata un anno di riprese. Tanti miei colleghi fanno ormai i film ‘back to back’ come gli americani, io ne ho fatti direttamente tre insieme.  

Qual è stato il più complesso da realizzare?  

In Italia giocavamo in casa e non ci sono state molte difficoltà. In Belgio si lavora quasi come in America, è tutto organizzato e professionale, e abbiamo avuto la fortuna di lavorare con attori di primo piano e anche famosi nel loro contesto. La parte cinese è sicuramente stata la più impegnativa, ai confini del Laos, e ha richiesto anche una attenta analisi della sceneggiatura per renderla compatibile con la censura locale, che considera particolarmente delicati certi temi come l’Islam o l’inquinamento. Ma con la giusta ragionevolezza siamo riusciti a mantenere tutti gli aspetti essenziali senza rinunciare a nulla. Gli attori cinesi sono molto cari e difficili da raggiungere. Lì è quasi come a Hollywood, ma hanno voglia di uscire dal territorio. C’è stato un boom del cinema che ha portato anche alla nascita di star improvvisate, che magari nascono come blogger o dalle serie tv, che vengono prodotte a tamburo battente.  

Ci sono stati problemi di comunicazione?  

No, perché io parlo cinese. Però abbiamo dovuto chiarirci su alcune differenze ‘culturali’. Ad esempio loro si baciano in maniera molto casta, come nei vecchi film. Ho dovuto insistere perché la scena del bacio fosse appassionata come nei film occidentali. Quando i co-produttori cinesi lo hanno visto, gli è piaciuto, ma a quella scena ridacchiavano come se stessero assistendo a una sequenza osé.   Che percorso avrà il film secondo lei?   E’ sicuramente un film singolare per l’Italia. Il pubblico oggi chiede storie italiane ma che raccontino di concetti universali, come Gomorra o gli ultimi film di Tornatore. Altrimenti faremmo sempre lo stesso film. La versione che andrà all’estero sarà in varie lingue e penso che questo gli darà una chance. Ho già avuto richieste dai distributori che hanno lavorato al mio film precedente, Rosso come il cielo, lo vedono come un prodotto simile.  

Le Giornate degli Autori hanno dedicato alla Cina un Forum specifico in questi giorni. Cosa ci possiamo aspettare dalla crescita del paese a livello di economia mondiale, e in particolare per l’audiovisivo?  

L’anno prossimo la Cina diventerà come gli Usa, sarà il primo mercato a livello mondiale. Nei prossimi vent’anni potrebbero diventare quattro volte più grandi. Sono numeri sconvolgenti. Per il cinema, fino a oggi per lo più la Cina è stata interessata ai grandi blockbuster americani, ma ora noi autori e produttori europei stiamo lavorando per far capire loro che anche noi possiamo offrire molto. E in particolare l’Italia: i talenti, le location, le risorse, gli sceneggiatori, la storia, la tradizione. Del China Forum alle Giornate sono stato uno degli animatori principali, gestendo questa associazione chiamata Bridging the Dragon, con sede a Berlino. Da soli siamo deboli, ma se uniamo le forse l’Europa diventa consistente. L’associazione è diventata partner del Festival di Cannes e della Berlinale, organizziamo incontri tra produttori, autori e sceneggiatori e cerchiamo di costruire una collaborazione comune in questo senso, che spero venga aiutata dal fatto che Caffè diventerà un film nazionale cinese, distribuito nelle loro sale.  

Sta già pensando ai prossimi film?  

Ho tante idee. Ne vorrei fare uno sull’amore. E’ piuttosto ambizioso, anche in quel caso vorrei che facesse da filo conduttore per l’unione di più culture. Sembra che sia interessata anche una valida attrice americana, a non posso dire di più. Inoltre, ho in mente una serie tv fantasy, con un partner straniero. Le trattative sono aperte.

 

Andrea Guglielmino
03 Settembre 2016

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