Andrei Konchalovsky: “Olocausto da camera”

In sala Paradise, che racconta la storia di tre personaggi - un'aristocratica russa, un collaborazionista francese e un ufficiale delle SS - nella bufera del nazismo


VENEZIA – Le grandi tragedie del Novecento – i totalitarismi , la guerra, l’Olocausto – da una prospettiva privata, intima. Quella di tre anime che confessano i propri peccati in un confronto frontale e definitivo. Paradise, nuovo film del cineasta russo Andrei Konchalovsky, che nel 2014 vinse il Leone d’argento con Le notti bianche del postino, è in concorso a Venezia. Ancora un film in costume e in bianco e nero, dopo Frantz di Ozon, ancora una vicenda di guerra e sofferenza, di inferno interiore a cui il cineasta russo, celebre anche per le sue idee reazionarie e controcorrente, sembra affidare una visione tragica e senza speranze della Storia, redenta solo da un atto individuale di carità a costo della propria stessa vita.

Olga è un’aristocratica russa fuggita in Francia dopo la rivoluzione d’ottobre, arrestata dalla polizia di Vichy per avere cercato di nascondere due bambini ebrei viene mandata in campo di concentramento; Jules (Philippe Duquesne) è un poliziotto collaborazionista che spera di ottenere da lei favori sessuali in cambio di un trattamento di riguardo; infine Helmut (Christian Clauss) è un personaggio contraddittorio, un nobile tedesco che sposa l’ideologia del nazismo nonostante sia un uomo colto e raffinato, conoscitore della cultura russa e amante di Cechov. Tra gli interpreti spicca una eccellente Julia Vysotskaya, moglie del regista, nel ruolo di Olga. 

Come mai ha scelto una prospettiva intimista per parlare delle grandi tragedie del Novecento?
Non posso spiegarlo. Mi interessava indagare i rapporti. Più guardi da vicino un fenomeno e meglio lo capisci. Bisogna continuare a parlare della Shoah, anche se non è un argomento certo piacevole, perché le giovani generazioni non sanno più nulla, non sanno chi era Mussolini o Hitler. Magari vanno su internet e scoprono qualcosa. Non a caso Umberto Eco ha scritto una lettera al nipote sul pericolo di perdere la memoria.

Film sull’Olocausto ce ne sono molti. Come ha affrontato l’argomento? Come ha trovato una nuova prospettiva?
L’Olocausto è stato talmente banalizzato. Io volevo parlare della cattiveria della natura umana, il male nasce ogni giorno, in ogni epoca e le persone che fanno il male spesso pensano che stanno facendo il bene. Guardate Savonarola, Giovanna d’Arco, la seconda guerra mondiale, i bombardamenti in Irak, in Libia, in Serbia. Si parla di democrazia, diritti umani e libertà per giustificare la guerra. Dio perdona loro perché non sanno quello che fanno!

Il film cita apertamente la Divina Commedia di Dante: è stata una fonte di ispirazione?
Da quando l’ho letta è sempre stata per me una fonte di ispirazione. Anche Dostoevskij aveva letto Dante.

Perché la scelta del bianco e nero?
Se mostri il lager a colori diventa una specie di opera lirica, come il Nabucco. Con trecento persone emaciate in pigiama a righe. E’ una banalizzazione. Io non ho mostrato la violenza sui corpi ma sullo spirito, una violenza non meno dolorosa. È facile far vedere il dolore, oppure il sesso, ma è pornografia. Bisogna far sì che il pubblico lavori insieme a te a immaginare. Ecco perché la letteratura è più potente del cinema.

A Venezia riceve il Premio Bresson dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla Rivista del Cinematografo. Cosa rappresenta per lei?

Per me Robert Bresson è uno dei più grandi artisti del cinema. Non raccontava delle storie ma cercava di mostrare i significati di quello che c’era dietro, la sostanza spirituale.

Intravede un legame tra i totalitarismi del Novecento e il fondamentalismo attuale?

La parola “fondamentalismo” è stata appiccicata ai movimenti musulmani di estrema destra, ma di base è l’esasperazione di certi paradigmi e filosofie e prescinde dall’aspetto religioso. Cos’è il nazismo? Quando è iniziato? Due secoli prima, quando i bianchi schiavisti sono andati in Africa ad ammazzare le persone e a rinchiuderle nei ghetti. Nazismo è lo sterminio degli altri in nome della propria supremazia e non va confuso con il nazionalismo che vuole il bene per se stessi. Dopo la seconda guerra mondiale e il processo di Norimberga si è fatta una sorta di equazione tra nazionalismo e nazismo, ma è un’equazione stupida, perché il nazionalismo può essere una cosa positiva. Invece nel mondo si fanno cose tremende in nome della democrazia. Per difendere i diritti umani e la democrazia lanciamo bombe sulla Serbia e l’Irak.

Lei ha detto recentemente che Hollywood fa ormai solo film per bambini. Vuole spiegare meglio cosa intende?

Hollywood è business, vuole fare soldi e nient’altro. E oggi che i giovani non leggono più libri e stanno tutto il tempo su internet a Hollywood hanno capito che devono fare film per la gente che non legge. Un tempo si facevano grandi film per gli adulti, penso a opere come Il padrino o La sindrome cinese. Oggi si preferisce Harry Potter a Dickens. Per fortuna ci sono mezzi alternativi per fruire di un film: HBO, il video on demand. Io non faccio film per il cinema, dove viene venduto il pop corn, perché non è buona idea ascoltare Bach mentre sgranocchi i pop corn. A partire da Le notti bianche del postino ho iniziato un nuovo capitolo della mia carriera. Una fase di libertà. Però chi mi finanzia deve essere pronto a perdere i suoi soldi. 

Cristiana Paternò
08 Settembre 2016

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