Enrico Caria: l’uomo che sognava di eliminare i due dittatori

"Non ha ucciso i mostri ma ha vinto la sfida della superiorità della cultura sull’odio che porta solo distruzione e morte, lasciandoci un messaggio quanto mai moderno”, sottolinea il regista



VENEZIA –
1938. Dopo aver occupato l’Austria Hitler decide di fare un visita in Italia a Mussolini per rivendicarne l’appoggio e con l’occasione fare un giro per musei e siti archeologici. In quell’occasione, uno dei più illustri archeologi italiani, Ranuccio Bianchi Bandinelli, in realtà un convinto antifascista, viene invitato ad accompagnare in veste di interprete e Cicerone Duce e Fürher. A questo punto si ritrova davanti a un bivio: scattare sull’attenti davanti ai due odiati dittatori, o compromettere studi, carriera e forse incolumità personale? Quando poi il cortese invito si trasforma in un ordine perentorio che lui non può rifiutare, non ha più scelta. Resosi conto che nessuno lo perquisisce o controlla e che può avere la massima libertà d’azione decidendo tempi e percorsi delle visite guidate, inizia a prendere forma nella sua mente l’idea di organizzare un attentato per togliere di mezzo gli ingombranti dittatori, fermandone così definitivamente la loro follia distruttrice. Fuori Concorso a Venezia 73 (Giornate degli Autori ) L’uomo che non cambiò la storia, è il film documentario di Enrico Caria che ripercorre questa incredibile vicenda, con immagini dall’Archivio Luce e insieme animazioni. Prodotto e distribuito dall’Istituto Luce Cinecittà il film è liberamente tratto da Il viaggio del Führer in Italia di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Come andarono a finire le cose la storia ce lo ricorda bene. Quello che il film invece ci racconta è come le cose non andarono, e soprattutto quale postuma vendetta di stile è sopravvissuta di quell’indimenticabile lezione tenuta ai due dittatori dal professor Bianchi Bandinelli. “Non ha ucciso i due mostri ma ha vinto la sfida della superiorità della cultura sull’odio che porta solo distruzione e morte, lasciandoci un messaggio quanto mai moderno”, sottolinea il regista.

Come si è avvicinato a questa vicenda poco conosciuta legata al primo viaggio in Italia di Hitler?
Tutto nasce da un incontro fortuito, quello con un piccolo libro, Il viaggio del Führer in Italia. Un sorprendente diario di Ranuccio Bianchi Bandinelli che fino a quel momento conoscevo solo come luminare dell’archeologia, ignorando del tutto che avesse fatto come interprete durante il primo viaggio di Hitler in Italia. Un momento cruciale della storia in cui insieme ai due mostri che porteranno l’Italia sul baratro, c’è questo giovanotto che gli fa da Cicerone. Un compito che all’inizio rifiuta ma quando il cortese invito si trasforma in un ordine perentorio non ha più scelta. A quel punto si accorge che non c’è un’organizzazione vera, non viene mai sorvegliato e può decidere liberamente itinerari e spostamenti. E quindi d’un tratto realizza che l’ipotesi di un attentato potrebbe essere alla sua portata.

Che idea si è fatto del professor Bandinelli?

Come tutti i professori dell’epoca aveva giurato fedeltà al nazismo, tra l’atro su indicazione degli stessi Togliatti e Croce, ma sotto la sua divisa batteva un cuore antifascista. Il suo era un antifascismo individuale e non organizzato, ma abbastanza endemico da fargli inizialmente rifiutare l’offerta di far da guida e interprete ai due dittatori. Io abbino la sua immagine a quella dell’aspirante suicida. Colui che sale sul cornicione, si mette baratro e riflette. Non tutti poi si buttano – e non sappiamo quanto il professore abbia concretamente pensato di passare all’azione, – ma lì sul baratro ci si mette nella condizione mentale del ‘posso farlo’. Bandinelli non ha ucciso i due mostri ma ha vinto la sfida della superiorità della cultura sull’odio che porta solo distruzione e morte, lasciandoci un messaggio quanto mai moderno.

Questa prospettiva ravvicinata sui due dittatori li fa venir fuori come esseri meschini e ignoranti.
Il libro di Bandinelli delinea, con una grande componente umoristica, due profili del tutto inediti di Hitler e Mussolini. Siamo abituati a vederli nelle occasioni pubbliche in pose plateali e costruite, ma l’occhio del professore che ha l’occasione di osservarli da vicino riesce a mettere a nudo due omini gelosi l’un dell’altro, ignoranti e meschini. A confronto con i più grandi tesori dell’arte Hitler, da artista fallito, si atteggia a grande intenditore. Con una ridicola pantomima in cui finisce per l’esaltare una serie di croste, mettendo contemporaneamente al bando in patria i grandi artisti pittori astratti e gli espressionisti (come Cézanne e Pissarro) definendoli corrotti e degenerati. Dal lato suo Mussolini segue in disparte annoiato e fa le smorfie alle spalle, ripetendo “Meno opere d’arte, più bandiere strappare al nemico”, a conferma del suo assoluto disprezzo per l’arte e la cultura in generale.

Una colonna sonora a tratti imprevedibile accompagna e sottolinea le scene.
Ho voluto dare al film un connotazione di documentazione cinematografica piuttosto che documentaristica. Volevo fare un docu-thriller maneggiando in maniera pop  il racconto storico. Per questo abbiamo scelto, insieme a Fabrizio Campioni che si è occupato del montaggio, un ritmo serrato scandito da una colonna sonora a tratti prepotente, che reinterpreta la follia dell’epoca attraverso note contemporanee. Il grottesco che viene restituito dalle musiche di Daniele Sepe, il cinema di genere che passa attraverso le composizioni di Pivio e l’hard rock che restituisce le tenebre del nazismo esoterico e accompagna in maniera dirompente la scena del saluto dal treno di Hitler al suo arrivo in Italia.

Carmen Diotaiuti
08 Settembre 2016

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