Roberto Minervini: vi racconto la musica nera di New Orleans

L'autore italiano trasferitosi in America ci anticipa qualcosa sul suo prossimo progetto, 'Nobody in this world is better than us'


Roberto Minervini è un autore unico nel panorama italiano. Un po’ perché vive e lavora nel Sud degli Stati Uniti, un po’ perchè di fatto è stato scoperto prima all’estero (in particolare dal Festival di Cannes) e solo dopo anche in Italia. Grazie ai film, Stop the pounding heart e Louisiana soprattutto, e grazie ai premi. Ma per Minervini, uomo schivo e concentrato a raccontare le contraddizioni umane e del grande Paese dove si è trasferito, non è cambiato l’approccio al suo lavoro di documentarista. Vedremo cosa accadrà con il suo prossimo film, al quale sta già lavorando da qualche mese e che – di passaggio a Roma – ci ha raccontato. A cominciare dalla scoperta del suo protagonista: “Chris Christy, 26 anni, nato a Los Angeles, è un chitarrista di grande talento che io ho trovato a New Orleans, alle due del mattino mentre suonava per strada. Mi ha permesso di fare un film con l’Iphone che io poi ho rivisto a casa. Sono tornato a cercarlo, e l’ho convinto che doveva essere lui il personaggio del mio film”.

Stavolta l’oggi servirà a raccontare anche il passato, perché Nobody in this world is better than us, questo il titolo provvisorio, sarà una sorta di “documentario storico”.
In che modo?

Seguirò la storia di Lead Belly per raccontare la questione razziale, ferita mai sanata degli Stati Uniti. Da tempo volevo raccontarla, ma cercavo il modo giusto. Poi ho pensato alla musica, perché è il linguaggio attraverso il quale gli afroamericani hanno cantato il loro dolore, le loro pene, con il blues. E ho deciso di raccontare questa storia, ma soprattutto di farla raccontare a loro, con la musica. Raccontando la storia di Lead Belly.

Chi era?

L’anello mancante tra la tradizione musicale africana e quella afroamericana. Prima della scoperta di Lead Belly esistevano poche registrazioni e la tradizione musicale apparteneva quasi in esclusiva ai neri. E’ vissuto negli anni ’30 e le sue canzoni raccontavano la segregazione, le sofferenze del suo popolo, erano canzoni di protesta. Senza il suo contributo musicale, il mondo non saprebbe granché della cultura afroamericana dei primi del ‘900, né dell’influenza della musica e delle tradizioni africane sul folk e sul blues americani. E’ una storia che si ripete anche oggi, con i bianchi che rincorrono la tradizione musicale nera, se ne appropriano e la vendono. Noi bianchi siamo dei grandi commercianti e i neri sono dei grandi musicisti.

I suoi film sono il risultato di lunghe ricerche e di molti incontri. In questo caso?

Ho girato per le strade degli Stati Uniti per un anno e mezzo. Ho trovato Chris e tanti altri musicisti che hanno storie da raccontare. Loro me le raccontano e io come sempre le tradurrò in immagini, le condenserò in una novantina di minuti. Ma per me era importante dar voce a loro, ai musicisti neri che ancora oggi trovano difficoltà ad imporsi in un mondo dominato dai bianchi. E questa è una storia che continua a ripetersi a 100 anni dopo Lead Belly.

Perché ha scelto Chris Christy tra i tanti musicisti incontrati?

Perché la sua storia e quella di Lead Belly si somigliano. Chris è scappato dai sobborghi di Los Angeles, con una chitarra in mano. Ha suonato per le strade di New Orleans. Si è imposto nella scena come autodidatta. Li unisce la musica che viene dalle viscere, la capacità di raccontare storie di neri che solo loro conoscono, che hanno toccato con mano. E poi c’è una grande passione per lo strumento e per la tradizione musicale afroamericana. Nonostante i suoi 26 anni Chris è un grande conoscitore, appassionato, di musica. Comunque gli ho chiesto di non fare ricerche su Lead Belly, perchè nel film deve interpretarlo ma è anche la storia di Chris. Un documentario tra passato e presente è una bella sfida.. E sto ancora lavorando su come rappresentare un passato che è insieme grande attualità. Un presente tragico che sarebbe dovuto appartenere al passato. È il presente della questione razziale oggi in America che è anacronistico e per capirlo, per spiegarlo, devo gettarmi nel passato e andare a capire le origini dei problemi attuali. Uso il cinema come una macchina del tempo, per documentare il passato.

Ancora un film sull’America del profondo sud. Perché?

E’ l’America dove vivo, che conosco, nella quale mi identifico. E’ l’America forse più agitata, più esagitata, più rumorosa e che viene ammutolita dai media. Si conosce molto poco dell’America del profondo sud. Gli abusi istituzionali, di potere… sono nove anni che vivo nel sud e ne sento parlare da sempre. Oggi sono all’ordine del giorno grazie ai social media. Ma gli abusi e le violenze sulle minoranze etniche sono lì da sempre. Un sud per certi versi perverso, pericoloso. New Orleans non è una città museo per turisti. È una città pericolosissima, dove si rischia la pelle in ogni momento. È un sud che sento vicino, contraddizioni che mi toccano e che sento di voler raccontare.  

Miriam Mauti
29 Settembre 2016

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