Oliver Stone: “Snowden, una storia kafkiana”

Il regista americano è alla Festa di Roma con il suo film sul Datagate che uscirà il 1° dicembre con la Bim


Parte dall’incontro tra Laura Poitras, la documentarista premio Oscar che per prima ha raccontato sullo schermo il Datagate con Citizenfour, Snowden, il thriller politico di Oliver Stone, uno degli eventi della Festa di Roma, dopo il debutto a Toronto. Siamo a Hong Kong, nel 2013, l’informatico e agente dello spionaggio americano Edward Snowden ha un appuntamento segreto con la regista e con due giornalisti del ‘Guardian’, Glenn Greenwald e Ewen MacAskill. In una stanza d’albergo, dopo aver chiesto agli interlocutori di mettere in un forno a micronde i telefonini per evitare intercettazioni, rivelerà che ogni cittadino americano è sotto sorveglianza. Telefonate, sms, email, status di facebook, persino ciò che accade in camera da letto (a patto di avere un computer dotato di web cam): tutto passa al vaglio della NSA, la National Security Agency. Col pretesto della lotta al terrorismo siamo tutti controllati e, potenzialmente, incriminati per le nostre opinioni o magari per uno dei contatti della nostra agenda. Raccontando “fatti reali in forma romanzata”, il tre volte premio Oscar Oliver Stone, parte da qui per tracciare un ritratto di quel giovane americano, un nerd trentenne che si trova coinvolto nella più grande operazione di hackeraggio della storia. Edward Snowden (interpretato da un Joseph Gordon-Levitt pienamente in parte) è un sincero patriota, con tanto di pedigrée: suo padre lavorava nell’Fbi, suo nonno nella guardia costiera. Autodidatta, mago dell’informatica, nei suoi vari incarichi, nel corso di una decina d’anni, Ed ha scoperto che ad essere tracciati non sono solo i dati relativi a governi stranieri e potenziali gruppi di terroristi, ma anche a quelli di normali americani. In questo percorso di “liberazione” che lo porterà a tradire il governo Usa a favore dei cittadini ha certamente un ruolo, come suggerisce il film, interpretato anche da Nicolas Cage, Melissa Leo e Rhys Ifans, la sua ragazza Lindsay Mills (Shailene Woodley). Di idee liberal, oggi Lindsay vive anche lei in esilio in Russia, il paese dove Ed ha trovato asilo quando gli Stati Uniti gli hanno ritirato il passaporto. Snowden uscirà in Italia il 1° dicembre con la BIM. 

Stone cosa la ha spinta a fare un film da questa vicenda? La possibilità di tornare al thriller politico che lei ha praticato in passato con opere come JFK e quella di raccontare un’altra pagina di storia americana.
La maggior parte degli americani non hanno ben compreso le rivelazioni divulgate da Snowden nel 2013. Sono preoccupati per il loro iPhone, per i Pokemon e i loro piccoli segreti, ma non hanno colto le dimensioni imponenti di questa storia. Nel corso di due anni ho incontrato Ed nove volte e ho compreso che il Datagate riguardava tutto il mondo e tutto quello che facciamo e pensiamo, non solo quello che compriamo su ebay o le nostre ricerche su google. Ho cercato di capire perché è arrivato alla decisione di rendere pubblico quello che sapeva. Nel 2013 Snowden non è risultato molto simpatico agli americani come chiunque riveli dei segreti di Stato. Lo considerano un traditore. Qualcuno lo confonde con Assange, qualcun altro non l’hai mai sentito nominare. 

Avete subito interferenze durante la lavorazione?

Beh, semplicemente non abbiamo trovato finanziamenti negli Usa e siamo dovuti andare a bussare a produttori francesi e tedeschi. Il film è stato girato in Germania anche per evitare problemi. Poi ci sono state anche due settimane di riprese negli Stati Uniti e alcuni giorni a Hong Kong e Mosca.

Come avete lavorato alla sceneggiatura?
Ho scritto la sceneggiatura con Kieran Fitzgerald basandomi sui libri The Snowden Files di Luke Harding e Time of the Octopus di Anatoly Kucherena, l’avvocato russo di Snowden. Le informazioni di Ed erano complesse da capire e da trasferire sullo schermo, abbiamo cercato di narrarle in modo cinematografico pur rispettando la verità. Non è film di spionaggio con violenza, sparatorie e inseguimenti, ma è un film molto realistico su come funziona l’intelligence.

Il Datagate ha spinto gli Stati Uniti a modificare alcune leggi in merito. Oggi possiamo stare più tranquilli?
Consiglio di fare attenzione. Sappiamo che siamo tutti potenzialmente sospettati, non necessariamente oggi ma magari in futuro. Una qualunque forma di protesta potrebbe essere considerata illecita. Siamo tutti schedati. Quello che conviene fare è usare la crittografia. È uno dei risultati delle rivelazioni di Snowden. Alcune società informatiche e provider, che in passato erano complici del governo Usa, adesso cercano di garantire la segretezza dei dati. E ci sono le raccomandazioni della commissione presidenziale. Ma ci vuole molto tempo per cambiare l’atteggiamento delle agenzie governative.

Il film è apertamente critico nei confronti del presidente Obama.

Obama ha fatto molto poco, non ho aggiunto o tolto nulla alla verità dei fatti. Non volevo accusarlo, ma avrebbe dovuto portare avanti una riforma, l’aveva promesso, invece oggi è diventato ancora più difficile raccontare la verità per i giornalisti. 

Come vede le elezioni presidenziali?

In tutta Europa mi fanno questa domanda. Voi europei siete sconcertati da Trump. Io non penso che possa farcela, ma l’alternativa è Hillary Clinton che rappresenta la tipica mentalità americana: o con noi o contro di noi. È militarista, è lei la responsabile di quello che è successo in Libia, Irak, Siria e Honduras. Non credo che abbia uno spirito di riforma.  

Snowden ha visto il film?

Sì, e ci ha aiutati con la sceneggiatura, ha fatto correzioni, ha dato consigli, a suggerito particolari su come funziona la NSA. Ci aiutato a proteggerci dagli hacker, perché avevo paura che qualcuno potesse “rubare” la sceneggiatura o le prime immagini del film. Ha concesso un’intervista in cui ha parlato bene del film dicendo che era molto realistico, pur concentrando una storia di nove anni in due ore.

Lei ha appena compiuto 70 anni. Ha fatto un bilancio?
Certo, non vivrò in eterno e so che bisogna essere pronti a dire quello che c’è da dire.

Ci sono analogie tra l’evoluzione di Snowden e la sua storia personale?

Sono cresciuto conservatore e sono rimasto sconcertato da quello che è successo in Vietnam ma ero troppo giovane per tirare le somme e ci ho messo alcuni anni per capire. Ai tempi di Reagan sono stato in Centro America e anche lì ho visto aggressioni contro paesi come il Nicaragua, l’Honduras. Ho cominciato a studiare la storia americana e raccontarla. È una storia terribile. Anche Ed Snowden racconta la storia americana mai raccontata, ma ha un coraggio superiore al mio. E’ molto giovane e la sua epilessia è una sorta di malattia spirituale che esplode per tutto quello che deve subire. Credo che la sua ragazza abbia avuto un ruolo fondamentale per aiutarlo a non perdere le sua anima. Era coinvolto in un sistema così potente che ti porta a fare cose terribili senza che tu te ne renda conto. In questo senso il film è un film kafkiano.

La sorveglianza può essere un’arma contro il terrorismo?

Io sono favorevole alla sorveglianza contro il terrorismo, come lo era Ed. Ma perché l’America ha deciso di instaurare una sorveglianza di massa? Si diceva che serviva a scoprire qualche strana telefonata ma non funziona così. I casi di terrorismo risolti sono stati risolti perché quelle persone erano già note alle autorità. Prima dell’11 settembre avevamo informazioni sui contatti tra Bin Laden e i dirottatori. Ma la NSA non ha dato queste informazioni all’FBI, che a sua volta ha scoperto questi dirottatori grazie a un informatore, ma non è stato fatto nulla. Le notizie arrivano a Washington e se ne perdono le tracce. Non c’entra il terrorismo. Si tratta di raccogliere dati con i satelliti, di osservare tutto e tutti e promuovere cambiamenti di regime, come in Brasile, in Venezuela, in Libia, in Ucraina. E’ la cyberguerra, una cosa inquietante. È come mettere delle mine informatiche in un paese, oggi alleato ma magari domani non più

Cristiana Paternò
14 Ottobre 2016

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