Karen Di Porto: “Autobiografia in giro per Roma”

Esce l'8 giugno con Bella Film l'opera prima diretta e interpretata da una quarantenne romana, che racconta la giornata confusa di un'aspirante attrice


“Che cosa cerchi? Maria per Roma”. Un modo di dire tipico della Capitale, che sta per una ricerca vana, infruttuosa, perché di chiese dedicate a Maria a Roma ce ne sono centinaia. Vana e infruttuosa come la ricerca della protagonista nell’opera prima di Karen Di Porto: una aspirante attrice di estrazione borghese – il padre è morto e l’azienda di famiglia è fallita, il negozio di antiquariato della madre è gravato da debiti e sta per chiudere – a cui resta solo l’appartamentino in centro, da affittare ai turisti andando a dormire dove capita. E poi fa uno strano lavoro, la key holder, cioè quella che va in giro con tanti mazzi di chiavi per aprire le case in affitto a stranieri o italiani dalle mille esigenze, ultima risorsa di una città dove l’arte di arrangiarsi la fa da padrona. Tra un provino e una festa dove incontrare il produttore giusto, Maria non cede alla disperazione anche grazie alla cagnetta Bea che l’accompagna in ogni suo spostamento.

Controcanto buffo e autoironico alla tragica visione senza speranze di Sole cuore amore, il film prodotto da Galliano Juso, è in selezione ufficiale alla Festa di Roma. Preceduto da una fama forse eccessiva  (“sarà un caso cinematografico simile a quello di Lo chiamavano Jeeg Robot”, aveva detto Antonio Monda in conferenza stampa). Ma Karen Di Porto, quasi quarantenne, esordiente assoluta con due soli cortometraggi al suo attivo, ha sincerità, freschezza e il coraggio di una narrazione disarticolata, che procede per sketch, ma finisce per renderci un ritratto di donna a tutto tondo, credibile e umano che ci ha fatto pensare al cinema di Gianni Di Gregorio o a certi indipendenti newyorchesi. Il film sarà in sala dall’8 giugno con Bella Film. 

Da cosa nasce questo film?
L’idea del film, che è in buona parte autobiografico, è nata alcuni anni fa quando al termine di una giornata estenuante ho visto la possibilità di raccontare Roma attraverso un solo personaggio: attingendo alla mia storia personale ho provato a restituire le contrastanti spinte della città ricordando umori e conflitti, bellezza e fatica, antichità e senso di vuoto, caparbietà e approssimazione.

Ci parli di lei.
Mi sono laureata in giurisprudenza a 24 anni, ho iniziato a studiare recitazione a 25, vengo da una famiglia di commercianti. Ho fatto il laboratorio teatrale di Francesca De Sapio e mi sono formata con molti degli attori che vedete nel film, tutti sconosciuti. Il film racconta anche questo mondo artistico ma non vuole essere una lamentela: siamo noi che siamo particolari.

Che Roma ha voluto raccontare?
Una Roma che ha questa combinazione di freddezza e di calore. Indifferente e spettatrice, con tutte le difficoltà che conosciamo, ma ha dotata di una bellezza che è quasi un ristoro in momenti di difficoltà. Come la giri la giri, Roma è sempre bella. Vive sul turismo e molti si arrabattano attorno al turismo. Altre metropoli sono più moderne e all’avanguardia, ma qui sei sempre stimolato da tanti incontri, sei circondato di caratteristi della vita.  

Perché questo titolo: Maria per Roma?
È un modo di dire romano, che indica il cercare qualcosa che non troverai mai e anche una persona poco affidabile, quindi racchiude una descrizione ironica del personaggio e ha un sapore antico. Poi mi piaceva avere la parola Roma nel titolo.

Il film ha una struttura molto libera, quasi a sketch, diciamo debole.
È stata una delle maggiori difficoltà a livello produttivo, perché il film, oltre a non avere grossi nomi nel cast, non ha una struttura vera e propria. I produttori mi chiedevano di alzare il livello della disperazione di Maria, magari di farle togliere la casa, ma io ho combattuto contro questa cosa. Internamente il film ha un percorso, è una giornata speciale in cui la protagonista vive un cambiamento interiore. Non è un film a tesi, non cerco di dimostrare niente. Uno passa una giornata infernale e poi, alla fine, si ritrova felice.

Qualcuno la paragona al primo Moretti, a noi fa pensare a Gianni Di Gregorio per la scrittura autobiografica e per la descrizione dell’ambiente umano.
I riferimenti a Nanni Moretti sono lusinghieri, ma credo che abbiamo in comune solo la città e in parte lo sguardo affettuoso nei confronti della disfunzionalità mia e degli altri. Per quanto riguarda Gianni è un amico, è trasteverino e quando gli ho parlato del progetto mi ha molto incoraggiato.

Quando ha saputo di essere stata selezionata alla Festa di Roma come ha reagito? E cosa pensa del paragone fatto con Jeeg Robot: anche il suo film potrebbe diventare un caso?
Ero a Orvieto e stavo camminando da sola, mi ha chiamato Galliano per dirmi che ci avevano scelto e sono stata incredibilmente contenta. Maria per Roma è un piccolo film che ho fatto come volevo. Rispetto a Jeeg Robot, mi ha spaventato questa attenzione per un progetto così piccolo, sono in attesa di vedere quale impatto avrà sul pubblico. Però il fatto che Monda abbia apprezzato già mi dà qualcosa.

Cosa rappresenta la figura del padre morto?

Una solidità perduta. Sapevo che doveva essere assente perché è la caduta dell’illusione dei soldi tipica degli anni ‘80. Non dovevi essere necessariamente nobile o alto borghese, per stare bene, anche la piccola borghesia poteva fare un mutuo e comprare casa e oggi i figli vivono su questo. Poi l’Italia aspetta sempre un salvatore, la persona forte che dice ci penso io.

Ha visto Sole cuore amore di Vicari? Sa che anche lì si parla di un personaggio femminile che vive una grande difficoltà rispetto al lavoro?

Non l’ho visto, ma credo che ognuno debba raccontare ciò che conosce bene. Il mio film mostra come tutte le classi scendano un gradino. Ci sono i nobili che si affittano casa, i borghesi che fanno le pulizie nei loro appartamenti e i ragazzi che si fanno dare con i turisti per 3 euro. Nessuno muore di fame nel film. Non sono una donna con figli e nella mia storia gli ostacoli interni sono maggiori di quelli esterni. Non ce l’ho col sistema perché non mi ci sono confrontata mai.

Bea è uno dei personaggi principali del film, direi una coprotagonista che la accompagna sempre nelle sue peregrinazioni.
Bea è il mio cane, ha 14 anni ed è un Jack Russell ma la prendono per un bastardino perché ha il muso lungo, da levriero. È davvero cardiopatica come nel film.

Ha già un nuovo progetto?
Ho scritto un film sulla comunità ebraico-romana-tripolina ma non si riusciva mai a trovare il regista. Adesso forse lo farò io. 

Cristiana Paternò
19 Ottobre 2016

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