William Oldroyd: “La ribellione di Lady Macbeth”

Una giovane donna che non accetta il suo destino e innesca una spirale di violenza per conquistare l'indipendenza è l'eroina di Lady Macbeth, opera prima di William Oldroyd in sala il 15 giugno


TORINO – Una giovane donna che non accetta il suo destino e innesca una spirale di violenza per conquistare la propria indipendenza è l’eroina di Lady Macbeth, l’opera prima del regista teatrale William Oldroyd in sala con Teodora il 15 giugno dopo essere passata in concorso al TFF. Un film di grande rigore e bellezza formale, ispirato al racconto di Nikolaj Leskov Lady Macbeth del Distretto di Mcensk, divenuto nel 1934, con le musiche di Sciostakovic, una celebre opera invisa a Stalin e censurata dal regime sovietico, proprio per gli aspetti scandalosi e ambigui di questo personaggio che non può lasciare indifferenti. E che nel film del regista inglese, alla guida del London’s Young Vic Theatre, acquista elementi di un femminismo ante litteram grazie alla lettura radicale che ne dà la sceneggiatrice Alice Birch. La diciassettenne Katherine (una straordinaria Florence Pugh) viene venduta dal padre insieme a un appezzamento di terreno ed è costretta a sposare un uomo di mezza età che la tratta come una serva e la rifiuta anche sessualmente. Chiusa in un’austera e spoglia dimora del Nord dell’Inghilterra, circondata dalla brughiera battuta dai venti, vessata dal suocero che la rimprovera di non essere ancora rimasta incinta, perennemente sorvegliata da una cameriera, Katherine, durante un’assenza dei due uomini, inizia una relazione con un giovane stalliere. “Nella letteratura di quel tempo – sottolinea Oldroyd – donne come Katherine di solito soffrono in silenzio, nascondono i loro sentimenti o si tolgono la vita. Ma in questa vicenda abbiamo una giovane protagonista che combatte per la sua indipendenza e decide il proprio destino, anche attraverso la violenza”. Amato dalla critica internazionale, il film è stato applaudito ai Festival di Toronto e San Sebastian.

Come ha ideato il contesto visivo del film, così austero e rigoroso?

E’ un mondo privo di bellezza. Il marito di Katherine ha costruito la sua fortuna con la rivoluzione industriale e non ha avuto nessun contatto con la bellezza e così, non a caso, la loro casa non ha molto colore. I costumi dell’epoca, poi sono molto interessanti da esplorare: crinoline e corsetti sono simboli potenti per il personaggio di Katherine, la intrappolano fisicamente e mentalmente, e quel look austero esprime il carattere conservatore del mondo in cui si trova.

Il film mi ha fatto pensare alla versione di Cime tempestose firmata dalla sua connazionale Andrea Arnold.

E’ impossibile quando si fa un film come questo allontanarsi dall’opera delle Bronte, non soltanto Cime tempestose ma tutta la narrativa di quel periodo. 

Il riferimento alla letteratura dell’Ottocento inglese è una cosa voluta anche con lo spostamento della vicenda dalla Russia all’Inghilterra.

Al contrario. Lo sforzo da parte nostra è stato evitarlo il più possibile ma sentivamo che era inevitabile. In Inghilterra ogni tot anni c’è un adattamento cinematografico o televisivo di un romanzo delle Bronte, Cime tempestose o Jane Eyre. In questo caso il testo di partenza è un testo russo, in cui ci è piaciuto il personaggio della protagonista così singolare rispetto ad altre eroine della stessa epoca. E’ singolare perché agisce per cercare di porre fine alla sua condizione, per questo ci ha entusiasmato. E’ vero anche che, pur cercando di evitare qualsiasi somiglianza, quando decidi di girare nel Nord dell’Inghilterra, in determinati paesaggi e atmosfere, gli echi dei romanzi delle sorelle Bronte o se volete anche di Lady Chatterley sono inevitabili. 

Il 25 novembre è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, perché la violenza contro le donne non è prerogativa dell’Ottocento e Lady Macbeth, pur essendo un film in costume, è tragicamente attuale. 

Questa attualità per noi era importante, l’abbiamo subito notata perché il film non l’abbiamo fatto per mostrare la condizione della donna nel 1865, inevitabilmente è un tipo di violenza che, per quanto possa assumere forme diverse, è ancora presente oggi. Quello che probabilmente è cambiato è che oggi viene stigmatizzata mentre allora era accettata come qualcosa di normale. 

Avete apportato un cambiamento rilevante rispetto al romanzo di Leskov dove alla fine lei viene punita, mentre nel film Katherine riesce a sopravvivere. Come siete arrivati a questa scelta che cambia anche il senso complessivo della storia?
Questa è forse la parte più femminista della nostra revisione. Per il pubblico è inevitabile pensare che nessun crimine possa restare impunito ed è vero che in un certo senso la sua è una vittoria vuota però è molto diversa dalla sorte che subiscono tante eroine letterarie dell’Ottocento come Madame Bovary o Teresa Raquin. Katherine si ritrova a volere fin dall’inizio conquistare la propria libertà, combatte e compie una serie di scelte, e alla fine ottiene davvero la libertà anche se di fatto rimane sola.

Un altro aspetto molto interessante è quello razziale. I neri vengono umiliati e sfruttati in un contesto di forte razzismo. 
E’ importante sottolineare che non vengono umiliati e sfruttati perché sono neri. Noi abbiamo fatto il casting senza tener conto del colore della pelle. Ci stava però a cuore correggere la rappresentazione dell’Inghilterra a metà dell’Ottocento falsata come è sempre stata in termini letterari e cinematografici: la società era molto più meticcia rispetto a come viene rappresentata. Lady Macbeth corregge questo falso storico. 

Rispetto al dramma di Shakespeare rimane forse solo qualcosa di sottile e subliminale perché Shakespeare è dentro ogni narrazione occidentale, ma non c’è molto del Macbeth al di là del titolo.

E’ vero, non c’è nessun riferimento diretto se quello che ingenuamente Leskov aveva colto nell’intitolare la sua novella Lady Macbeth come a dire che soltanto un personaggio come Lady Macbeth poteva essere così pieno di crudeltà, a condizione di essere asessuata, trovando una forza diabolica per compiere quei crimini. Quindi il riferimento viene da Leskov. Noi abbiamo scelto di lasciare questo titolo al film perché è un adattamento di quel testo e perché dà un’indicazione precisa al pubblico su quello che si può attendere. 

Tra l’altro non c’è neanche nessun elemento soprannaturale: tutto nasce dalla volontà di questa giovane donna che matura molto rapidamente perché fa delle esperienze forti e terribili. Da che è una giovane ingenua diventa una donna diabolica ma non in senso stregonesco. 
Certo, non c’è nessun elemento stregonesco o soprannaturale. Katherine è mossa dalla sua disperazione, dalla sua sete di autonomia. Ci siamo chiesti con la sceneggiatrice se il film fosse un noir. La protagonista di un noir è una donna che ha un obiettivo preciso e lo ottiene ma mai con un coinvolgimento diretto, semplicemente manovrando e manipolando per riuscire a ottenere il suo scopo, mentre Katherine agisce lei stessa in prima persona. E’ attiva negli omicidi che compie, non invoca gli spiriti, anzi resiste all’invocazione del sacerdote che la invita a riavvicinarsi alla religione.

E’ un personaggio molto moderno.

Sì, è molto moderna. All’epoca a una moglie era chiesto di obbedire non soltanto al marito ma anche al padre, al suocero, alla chiesa.  

Cristiana Paternò
20 Novembre 2016

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