Léa Fehner: “Sulla giostra con gli orchi”

Les Ogres, film rivelazione che arriva dalla Francia dopo aver vinto i due premi di Pesaro 2016, trova la via della sala grazie a Cineclub Internazionale Distribuzione


Chi sono gli orchi di cui parla Léa Fehner, la giovane regista francese vincitrice di un doppio premio alla Mostra di Pesaro? Uomini pieni di vitalità, creativi e carismatici, ma anche immaturi, incapaci di crescere e di invecchiare, pronti a prendere nuova linfa dalle ben più giovani donne a cui si legano. Tutto questo dentro la cornice inedita di un teatro itinerante e di una buffa, tenera comune di artisti girovaghi, che portano in giro per la Francia un cabaret ispirato a testi di Cechov. Arte e vita si intrecciano, come sempre: l’arrivo di un bambino e il ritorno di una ex amante complicano i rapporti in questa tribù anarchica e allo stesso tempo sottomessa alle decisioni del capocomico e pater familias. E’ Les Ogres, film rivelazione che arriva dalla Francia (ha appena avuto tre candidature ai premi Lumière) e che dopo aver vinto a Pesaro 2016 sia il Premio Lino Miccichè che il Premio del pubblico trova la via della sala grazie a Cineclub Internazionale Distribuzione che lo porterà, oltre che sul grande schermo, anche su una piattaforma online dando la possibilità a tutti, anche a chi vive in provincia e lontano dalle città capozona, di gustare questo gioiellino in versione originale con sottotitoli. Data di uscita il 26 gennaio. A Roma abbiamo incontrato la regista, 36enne di Tolosa, rivelata dall’opera prima Qu’un seul tienne et les autres suivront (2008), che in questo Les Ogres ha riversato molto della sua esperienza personale di figlia di teatranti chiamando a recitare padre, madre e sorella. 

Com’è nata nei suoi genitori la passione per il teatro, che sembra unirsi qui a un modello di vita alternativa, nel rifiuto delle regole borghesi?
I miei appartengono alla generazione successiva al ’68, non vengono da una famiglia di attori, è stato mio padre il primo a sviluppare questa passione per il teatro di strada, in linea con compagnie importanti come la Fura dels Baus, voleva portare il teatro dove non c’era, insomma viveva un’utopia.

Come mai ha deciso di coinvolgere suo padre e sua madre, Francois Fehner e Marion Bouvarel, accanto ad attori di cinema come Adéle Haenel e Marc Barbé?
Era rischioso ma anche importante mettere in gioco la mia autobiografia per avere un film forte. Abbiamo provato molto per creare l’atmosfera del gruppo e poi abbiamo girato in ordine cronologico, per dieci settimane. 

Tra i suoi modelli c’è per caso Emir Kusturica?
Il paragone lo fanno spesso, per l’energia e il turbinio che ci sono in Les Ogres e anche perché ci sono le oche… Devo dire che non è un regista che amo particolarmente, mentre la compagnia itinerante è stata influenzata da un film come Il tempo dei gitani. Forse un elemento in comune è la sua capacità di farci amare anche i personaggi più arroganti e pieni di difetti.

A un certo punto nel film si dice: leggete Cechov, può essere utile per la vita. E’ per questo che ha scelto questo autore?
La compagnia teatrale porta in giro una pièce in cui si mescola Cechov e il cabaret cantato per avvicinare il pubblico meno raffinato a questo grande autore. Anche io l’ho letto quando avevo 15 anni, su consiglio di mia madre. E’ uno dei pochi scrittori ad avere questa precisione e sensibilità nel descrivere i suoi personaggi che ama tutti, indistintamente.

Teatro o circo?
Mio padre è un uomo dalle mille contraddizioni. Dice che non siamo un circo ma poi usa le acrobazie e il tendone che si può montare ovunque e non intimidisce gli spettatori poco abituati al teatro. Anche il circo è casino, bordello. Ma la differenza è che nel circo si cerca l’eccellenza fisica, mentre nel loro teatro c’è condivisione.

Cosa ne dicono i suoi genitori del film?
L’hanno amato, si sono riconosciuti in queste montagne russe emotive. Però mio padre è seccato perché tutti lo associano al personaggio del capocomico, è stato generoso a interpretare una figura tanto brutale.

I personaggi maschili sono molto ambivalenti.

Sì, c’è ambivalenza in questo desiderio di vita e di intensità, che contiene una grande vitalità ma è allo stesso tempo patetico, è l’impossibilità di essere normali, il volere che le cose siano sempre in movimento, in scena e nella vita. Nella voglia di una vita frizzante si nasconde una mostruosità, la violenza degli orchi. Questi orchi di vita sono in grado di mangiare gli altri e occupare il loro posto. 

Perché ha scelto Ventiquattromila baci di Celentano?
E’ una canzone che mi piace molto e poiché il film parla di un amore eccessivo, ho trovato proprio questo elemento nella canzone, Non uno o due baci, ma ventiquattromila! 

Cristiana Paternò
20 Gennaio 2017

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