Calin Peter Netzer: “Sesso, religione e psicoanalisi”

Religione e psicoanalisi, un parallelo ardito ma affascinante è al centro del film del romeno Calin Peter Netzer 'Ana, mon amour'. Ultimo titolo del concorso, si candida a un premio importante


BERLINO – Religione e psicoanalisi, un parallelo ardito ma affascinante che dà al film di Calin Peter Netzer Ana, mon amour, ennesima dissezione di un amore, quel quid in più. Ultimo titolo del concorso di questa 67ma edizione della Berlinale, il film racconta la storia tra due giovani studenti, Toma (Mircea Postelnicu) e Ana (Diana Cavallioti, una notevole somiglianza con Emily Watson). Li vediamo, al primo appuntamento, disquisire di Nietzsche con la voglia di baciarsi, ma da subito Toma scopre che la bella Ana soffre di attacchi di panico. Tra psicofarmaci e sesso bollente – c’è anche una scena molto esplicita – i due approfondiscono la conoscenza, anche con le rispettive famiglie che si oppongono al legame. La ragazza è stata cresciuta da un patrigno violento e non ha mai conosciuto il vero padre; Toma, che viene da un milieu più abbiente, ha comunque alle spalle gravi difficoltà tra i genitori e un abbandono. E mentre il disagio e la dipendenza (di entrambi) crescono, i due cercano risposte dove possono, in chiesa o sul lettino dello psicoanalista. Orso d’Oro a Berlino nel 2013 con Il caso Kerenes, Netzer si è ispirato al romanzo Luminita, mon amour di Cezar Paul Badescu che ha contribuito alla scrittura insieme a Iulia Lumanare. “Il film – dice il 42enne regista – non tratta solo dell’erosione del rapporto tra Toma e Ana, ma piuttosto dell’impossibilità stessa di costruire un rapporto. I due innamorati si fondono come vasi comunicanti nel rapporto fisico, ma continuano a dipendere dai propri desideri inespressi. Proiettano l’uno sull’altra altre figure, sono prigionieri del transfert, spostano sentimenti e desideri..”. Netzer, con la sua grande abilità nel descrivere la relazione di coppia e i rapporti tra figli e genitori, si allontana in questa opera dalla vocazione sociale del nuovo cinema romeno e firma un racconto universale, slegato da una collocazione spazio-temporale precisa, che ritroveremo nel palmarès. 

Come mai ha deciso di adattare il libro di Badescu? Ha trovato qualche aspetto personale?

Ho letto il romanzo nel 2010 mentre stavo girando il mio film precedente, Il caso Kerens. Mi è sembrato subito un bel soggetto e ho deciso di scrivere una sceneggiatura. Ma nel libro si affronta un periodo di dieci anni nella vita della coppia e questo era difficile da trasferire in un film. Abbiamo lavorato molto alla scrittura, ci sono voluti due anni, e alla fine abbiamo raccontato tre analisi: quella di lui, quella di lei e una sorta di meta analisi. Abbiamo cambiato anche il titolo perché Luminita è un nome difficile da pronunciare fuori dalla Romania.

Non sembra che vi siate ispirati ai modelli classici di psicoanalisi al cinema. Il film ha una struttura molto particolare con tanti piani temporali e una commistione di sogni e realtà.
Non volevo fare un film classico come In Treatment. Spesso la figura del terapista al cinema è un po’ un cliché. Così abbiamo usato piani temporali diversi ma non i classici flashback. Ci siamo allontanati molto anche dal libro, che indaga di più il contesto sociale, ed è stato solo un punto di partenza.

Come ha scelto i due interpreti?

Abbiamo impiegato un anno per fare il casting. Credo di conoscere tutti gli attori romeni tra i 20 e i 30 anni… 

Ha tenuto conto di un grande film sul divorzio come Scene da un matrimonio di Bergman?
Scene da un matrimonio era un’altra cosa. Questo è quasi un film clinico, in cui cerco di restare oggettivo, di non farmi tirare dentro la storia, di essere equidistante tra i due personaggi. Comunque insieme alla sceneggiatrice abbiamo rivisto anche Bergman.

Siamo destinati a ripetere gli errori dei nostri genitori?

Siamo di fronte a due famiglie che non funzionano. La madre di Toma ha avuto una storia con un tedesco e non ha lasciato il marito per amore del figlio ma poi continua a ripeterglielo. Lui si attacca ad Ana perché è una ragazza fragile e dipendente, che non potrà lasciarlo o tradirlo come ha fatto sua madre. Ci si abitua alla propria nevrosi, ci si affeziona alla propria sofferenza e ai problemi psicologici.

Anche la chiesa può essere un luogo di cura delle nevrosi? Tra l’altro la scena della confessione è una delle più divertenti del film.

La chiesa è un luogo di nevrosi di massa, spesso le persone vanno in chiesa a cercare l’aiuto del prete che è una specie di terapeuta per tutti e oltretutto gratuito. In Romania la maggior parte delle persone non hanno molta fiducia nella psicoanalisi. Ma mentre in chiesa ti dicono cosa devi fare, la psicoanalisi ti invita a scoprire chi sei veramente, a trovare la tua identità. C’è una bella differenza. 

Pensa che il suo film piacerà al presidente della giuria Paul Verhoeven che nel 1973 ha diretto Fiore di carne, storia di un matrimonio contrastato dalla famiglia di lei?
Non lo so. E’ imprevedibile cosa possa piacere a Verhoeven. Ho letto che cercherà qualcosa di nuovo e inaspettato, quindi forse non ho molte speranze.

E’ stato più facile realizzare questo film dopo aver vinto l’Orso d’oro?
Sì e no. E’ stato più facile produttivamente, ma molto rischioso. Per questo ha richiesto molto lavoro, perché sapevo che era una sfida. C’è voluta una grande cura sia nella scrittura che nella ricerca degli attori. Hanno provato per diversi mesi. Entrambi sono anche andati in terapia e Toma ci va ancora.

Pensa che ci saranno problemi di censura per le scene di sesso nel film?
Ho scelto di essere totalmente onesto anche nella rappresentazione del sesso. Ma so che può essere un problema per il mercato e quindi ho fatto un’altra versione senza sesso esplicito.  

La Romania sta vivendo un momento politico burrascoso con le manifestazioni di piazza contro il cosiddetto decreto salva corrotti. 

Le cose cambieranno forse con i nostri figli, tutto è molto complicato. La corruzione è dilagante, del resto è diffusa in tutta Europa. Per ora la protesta è riuscita a bloccare la legge e portare il ministro della giustizia alle dimissioni. Ma le ultime elezioni ci sono state a dicembre, due mesi fa, quindi non so cosa si possa fare per far cadere il governo…  

Cristiana Paternò
17 Febbraio 2017

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