Paul Verhoeven: “Quando la vittima prende il potere”

Esce con Lucky Red 'Elle', il film di Paul Verhoeven vincitore di 2 César e due Golden Globe, mentre ha mancato di poco l'Oscar per la miglior attrice protagonista, la straordinaria Isabelle Huppert


Lo schermo è nero e noi sentiamo solo i lamenti (o i gemiti?) di una donna e i rumori di una colluttazione. E’ una sequenza che poi vedremo e rivedremo, perché nel corso del film la protagonista ripenserà a quei momenti, a volte colorandoli di rabbia e desiderio di vendetta, altre volte con una sottile sfumatura di piacere. Si muove su questo terreno di ambiguità e ambivalenza, Elle, il film di Paul Verhoeven ispirato al romanzo di Philippe Djian “Oh…” (Voland Editore), applaudito in concorso a Cannes 2016, vincitore di 2 César e due Golden Globe, mentre ha di poco mancato l’Oscar per la miglior attrice protagonista, una impeccabile Isabelle Huppert.

La Huppert è Michèle, una donna d’affari – gestisce con pugno di ferro una compagnia che produce videogiochi – molto libera sentimentalmente e sessualmente. Ha una cinquantina d’anni, un matrimonio alle spalle (ma è ancora molto gelosa dell’ex marito scrittore di scarso successo), un figlio grande e un po’ fesso, un amante ufficiale e diversi ammiratori… E’ una donna di potere, insomma. Che affronta anche l’aggressione di uno sconosciuto mascherato che ha fatto irruzione in casa sua e l’ha violentata brutalmente con lo stesso piglio. Nessun vittimismo, ma il gusto di scoprire tra gli uomini che frequenta, il possibile colpevole. Senza neanche pensare ad andare alla polizia. Nel suo passato infatti c’è una vicenda drammatica: suo padre, quando aveva dieci anni, uccise 27 persone. Lei non vuole più saperne di tribunali e giornalisti curiosi. E poi quei brutti ricordi ogni tanto riaffiorano.

Il regista olandese, autore di un film cult come Basic Instinct, ritratto femminile a forti tinte come del resto anche il più recente Black Book, firma qui un thriller sadomaso dai risvolti davvero inattesi che sarà al cinema dal 23 marzo con Lucky Red. Intanto il 78enne cineasta sta lavorando al nuovo progetto Blessed Virgins, ambientato in Toscana e ispirato a una storia vera accaduta nel Seicento in un monastero di Pescia, vicino Firenze, una vicenda raccontata da Judith C. Brown nel saggio “Immodest Acts – The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy”, che documenta la storia della mistica lesbica Benedetta Carlini. E ancora, tra i suoi progetti, anche un film su Gesù Cristo, basato sul suo libro “Jesus of Nazareth”, con la figura di un Cristo attivista politico. 

Si aspettava una candidatura agli Oscar come miglior film straniero?

Non mi ha meravigliato non riceverla, Elle è un film difficile per il pubblico americano specie nella terza parte, quando la vittima inizia un gioco sadomaso con il violentatore. Per questo non abbiamo trovato finanziamenti a Los Angeles, né attrici disposte ad interpretare il ruolo di Michèle. Dicevano tutte di no. Quindi questa esclusione ha un sapore politico. Provvidenziale è stata Isabelle Huppert. Abbiamo dovuto riportare il progetto di Elle da Los Angeles a Parigi e lei, che aveva già letto la sceneggiatura, ha subito accettato. La Huppert è sempre stata estremamente audace nell’interpretare i suoi personaggi.

Del resto il film sembra davvero cucito addosso a Isabelle Huppert, come se lei fosse l’unica in grado di essere Michéle.

Isabelle aveva già contattato lo scrittore del romanzo per chiedergli se fosse possibile realizzarne un film. Poi la produzione che ha acquisito i diritti ha chiesto a me di dirigerlo. In quel momento vivevo a Los Angeles ed avevo tutti collaboratori americani così ho pensato di girarlo lì. Quando mi sono cominciato a sentir dire ripetutamente di no dalle attrici e dai finanziatori, con il produttore ho deciso di andare a Parigi e, molto umilmente, ho chiesto a Isabelle di essere la protagonista. Lei ha accettato immediatamente non facendo nessuna resistenza per quello che c’era scritto in sceneggiatura. Non c’è stato bisogno di parlare di psicologia, di Freud, ha fatto semplicemente ciò che era descritto. Ad una come lei non serve accaparrarsi la simpatia del pubblico, come a me d’altronde.

Lei sembra decisamente attratto dai personaggi femminili forti, volitivi e capaci di prendere il controllo della situazione.
Non ho un’attrazione particolare per queste vicende, mi vengono semplicemente proposte. Poi ai miei occhi la protagonista di questo film non sembra una donna così complicata. Come anche quella di Black Book era una donna normale, un’ebrea durante il nazismo, che cercava di sopravvivere in quegli anni oscuri, in cui rischiava la morte o il campo di concentramento. Il carattere di Michèle è stato forgiato da quello che le è capitato da piccola e questo l’ha portata a rifiutare l’idea stessa di essere una vittima. Quando entra in contatto con il suo stupratore mette in atto quel detto che dice di amare il proprio nemico.

In Elle si insiste molto sul rovesciamento che porta Michèle dalla situazione di vittima a una condizione opposta, la riappropriazione di un potere personale. E’ lei alla fine a condurre il gioco…
Intanto vorrei chiarire una cosa: questo personaggio non l’ho inventato io, era tutto scritto nel libro. Quando ho cominciato a visualizzarlo, si sono aggiunte altre cose, ma di fondo c’era. Questa donna rifiuta di considerarsi una vittima e quando ho letto il libro questo mi ha attirato e colpito. Dopo tutti i traumi che ha vissuto da ragazzina, si costruisce un carattere che la porta ad affrontare le situazioni in maniera completamente diversa da come si farebbe normalmente. Un’altra donna sarebbe stata completamente devastata dall’essere stata violentata, lei invece pulisce, butta via i cocci delle tazze rotte, si toglie il vestito e lo getta nel secchio dell’immondizia, si fa un bagno e non si preoccupa di perdere sangue dalla vagina, poi ordina un sushi. Mi piace come lei vuole cancellare quella situazione. 

Sembra che in un certo senso il film ruoti attorno al concetto di giustizia, sia nei confronti del padre di Michèle che verso il suo aggressore, lei in fondo si fa giustizia da sola.
Non è proprio così. Michèle va a trovare suo padre in prigione non con l’intenzione di provocarne la morte, semplicemente decide di esaudire un desiderio della madre. Infatti è molto sorpresa quando il direttore del carcere le dice che il padre si è suicidato. La sua non è una ricerca della giustizia intenzionale, è qualcosa che capita. Questo anche verso il violentatore, la vendetta avviene per caso, per una pura coincidenza… 

Lei sostiene di essersi basato sul libro, ma in realtà si è preso parecchie libertà.
L’idea, con lo sceneggiatore David Birke, era di non dare mai allo spettatore una risposta chiara, precisa, di essere molto ambigui. C’è il gioco e c’è la realtà, ma non è chiaro quali siano i confini. Anche la scena finale fa parte del gioco ma si trasforma in realtà. Questa parte è stata aggiunta rispetto al libro, tutta l’ambiguità è stata aggiunta. Come anche la scena in cui la vicina di casa Rebecca, una cattolica devota, mentre sta traslocando, rivela a Michèle di aver saputo come stavano realmente le cose. Volevamo proprio mostrare questo rovesciamento della realtà: una donna fervente, che ama il Papa, e che finora è stata zitta di fronte a una situazione del genere… Questa donna è una metafora del silenzio della Chiesa cattolica di fronte a situazioni scabrose come può essere la pedofilia. E non ce l’ho con Papa Francesco, che stimo molto.
 
Elle è stato attaccato negli Stati Uniti da ambienti femministi, che l’hanno letto come un film sullo stupro e visto negativamente. Pensa che si ricrederanno?
Le reazioni negative ci sono state anche in passato con altri miei film, per esempio con Starship Troopers o con Showgirls. In questo caso, con mia grande sorpresa, molto meno. Questa storia non ha niente a che vedere col femminismo o con temi come la violenza sulle donne, è un film su questo personaggio che, come ho detto, sceglie di non abbandonarsi alla negatività. Negli Stati Uniti ci sono state persone a cui il film non è piaciuto o che lo hanno proprio odiato ma i critici l’hanno promosso: l’89% delle recensioni sono state positive e abbiamo preso un sacco di premi, solo Isabelle ha vinto almeno quindici o venti riconoscimenti per questa interpretazione. Facendo il paragone con altri film che ho fatto, come dicevo, è andata meglio di quanto mi aspettassi. Sono stato sorpreso che questo personaggio di donna forte abbia attratto molto pubblico femminile, forse come forma di vendetta per il fatto che non abbiamo avuto una donna presidente degli Stati Uniti, chissà… 

Come le è venuta in mente la famosa sequenza di Sharon Stone che in Basic Instinct accavalla le gambe senza mutandine?
L’ho ritrovata nel montaggio del film. L’avevo dimenticata e non avevo mai pensato che fosse speciale. D’altronde avevo una compagna di università che girava sempre senza mutandine. E io e i miei compagni le chiedevamo sempre: ‘potresti accavallare le gambe?’. E lei lo faceva. 

Cristiana Paternò
10 Marzo 2017

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