Raul Arévalo: “Dalla Spagna con rabbia”

Cita a sorpresa Matteo Garrone e il suo Gomorra il regista spagnolo, che esordisce con il revenge movie d'autore La vendetta di un uomo tranquillo, nelle sale italiane dal 30 marzo con la Bim


Cita a sorpresa Matteo Garrone e il suo Gomorra lo spagnolo Raul Arévalo, regista esordiente con il revenge movie d’autore La vendetta di un uomo tranquillo, coprodotto anche da Palomar, nelle sale italiane dal 30 marzo con Bim. Un’opera prima che ha fatto incetta di Goya (il massimo premio spagnolo) con quattro riconoscimenti: miglior film, miglior regista esordiente, migliore sceneggiatura originale e miglior attore non protagonista. Mentre alla Mostra di Venezia, dove aveva debuttato in Orizzonti, era stata premiata la protagonista femminile, Ruth Diaz. E’ lei l’esca attraverso la quale José (Antonio De La Torre) riesce a portare a termine una vendetta a lungo covata, quella contro gli uomini che otto anni prima gli hanno ucciso a calci e pugni la fidanzata, che stava per sposare, lasciando suo padre in coma irreversibile durante la rapina a una gioielleria. José, uomo solitario e taciturno, tipo perbene con appartamento in centro, frequenta il bar di periferia dove lavora Ana, compagna di Curro (Luis Callejo), l’unico della banda ad essere stato catturato dalla polizia, mentre gli altri si sono dati alla macchia. E adesso Curro sta per uscire di galera. Non bisogna rivelare di più perché il thriller scopre a poco a poco le sue carte, con momenti di violenza esplicita e altri più intimi, riuscendo bene a restituire le diverse psicologie di questi uomini e senza sposare il punto di vista del vendicatore, anzi mettendolo in discussione. Attore per De La Iglesia e Almodovar, 37enne, Arévalo è diventato regista superando molte difficoltà. Soprattutto produttive. Come ci racconta in questa intervista. ”Era fondamentale che i personaggi avessero una certa età, volevo persone che hanno già vissuto una parte di vita, ed è uno dei motivi per cui ci ho messo tanto anni a trovare i fondi, perché molti produttori, specie televisivi, con cui parlavo mi proponevano protagonisti più giovani, belli e famosi”.

Il tema della vendetta è molto trattato nel cinema, ma in genere lo spettatore prova empatia verso chi si vendica. Nel suo film accade il contrario, si lavora molto sulla disumanizzazione del protagonista. 

La difficoltà del film, e la sua ambizione, era mostrare il personaggio nel modo più realistico. Ci sono migliaia di film sulla vendetta ma non volevo mostrare una violenza dal punto di vista estetico, come Tarantino in Kill Bill, volevo una violenza più cruda, realista, scarnificata, come in Matteo Garrone, Audiard, nei Dardenne. Oppure in Peckinpah, anche in lui la violenza è secca, diretta, è un punto di riferimento estetico con film come Cane di paglia

Ha mai pensato di interpretare lei il film?
No, non saprei dirigere e recitare contemporaneamente. Poi non ero giusto per il personaggio. Ho scritto la sceneggiatura con un amico psicologo, David Pulido, e mi sono reso conto che la realtà non sempre funziona nel cinema. Un personaggio così, nella vita reale, sarebbe un uomo disturbato, un ossessivo con dei disturbi della personalità, dei tic. Ma non volevo mettere un pazzo sullo schermo. Perciò ho optato per una interpretazione ieratica, con pochi gesti, molto controllata: Antonio De La Torre era perfetto, tra l’altro è un mio carissimo amico.

E’ vero che l’ambiente che descrive lo conosce personalmente, che è il quartiere dove lei è cresciuto?
Bisogna parlare di ciò che si conosce. Perciò ho preferito girare in un ambiente familiare, nell’atmosfera in cui sono cresciuto. Come Matteo Garrone mi piace mescolare attori e non attori. Credo nel cinema con una forte identità. La storia non mi era nota, ma l’ho voluta portare dentro al mondo che conoscevo. 

Qual è la situazione attuale del cinema spagnolo? E’ in atto un ricambio generazionale?

Tutto avviene un po’ per caso. Il ricambio generazionale c’è, come ovunque nel mondo, ci sono persone giovani che fanno il loro primo film. In Spagna c’è Telecinco che investe molto denaro, Antenna 3 anche, ma la televisione pubblica non investe molto. Così ci sono quattro/ cinque film che guadagnano molto e si ha l’impressione che il cinema vada bene, ma non è proprio vero. La rinascita è un po’ ingannevole. Al governo spagnolo fa comodo parlare del boom…

A questo proposito lei come ha prodotto questo film? C’è anche un contributo pubblico?

Il film non è stato sovvenzionato. Ho impiegato anni a scriverlo, poi ho incontrato la mia produttrice e ci sono voluti altri tre anni per chiudere il progetto produttivo. Alla fine ho avuto un aiuto da parte dell’INCAA ma solo per chiedere un credito alla banca. Oggi, con la nuova legge, il mio film non si potrebbe più fare. 

Il titolo italiano è fin troppo esplicito nel raccontare un film che deve restare ambiguo.
In realtà il titolo italiano è la traduzione del titolo inglese, mi piace anche se è vero che rivela qualcosa di più di quello spagnolo, Tarde para la ira. Comunque non sono troppo reticente sulla trama, direi che è la storia di una vendetta e di una persona normale che non si è mai confrontata con la violenza e si trova coinvolta in una spirale terribile.
 
Nessuno è esente dalla rabbia nella vita. Qual è l’antidoto a questo sentimento?
Ne ho tanta di rabbia e questo film l’ha incanalata. La violenza è un tema insito nell’essere umano, ecco perché ci sono tanti film sulla vendetta. Può essere banale dirlo, ma penso funzioni da antidoto l’amore verso se stessi e verso gli altri, l’essere in pace con se stessi.Il mio amico psicologo, il co-sceneggiatore, mi ha spiegato che le persone che covano una vendetta per tanti anni, sono persone che hanno deciso di restare chiuse in questa rabbia. Se José avesse incontrato un’altra donna, se si fosse affidato agli amici, se avesse avuto una famiglia, avrebbe superato questa rabbia, magari continuando a fantasticare una vendetta ma senza portarla a compimento. Chi fa queste cose, generalmente è disturbato, è ossessivo. 

Quali sono i suoi prossimi progetti?
Come attore sto doppiando un film d’animazione di Paco Roca e sono tra i protagonisti di Oro di Agustin Diaz Yanes, un grosso progetto da nove milioni di euro sui conquistadores. Come regista sto scrivendo il mio secondo film. Spero di metterci qualche elemento in più di speranza, anche se non mi pare che nel mondo ci sia molta speranza… 

Il film ha avuto ottime recensioni negli Usa, si aspetta un remake?

Sì, ci sono state varie proposte al Festival di Toronto, però mi fa un po’ ridere l’idea di una versione americana, troverei più interessante se lo rifacessero gli italiani o i sud americani. E neppure penso di andare a lavorare a Hollywood come altri spagnoli. Non so neanche l’inglese… e non mi interessa il loro modo di fare film. Mi piacerebbe però realizzare una grande coproduzione europea.

Cristiana Paternò
21 Marzo 2017

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