Lucas Belvaux: “Dietro le quinte dell’estrema destra francese”

In "A casa nostra", in sala dal 27 aprile, è rappresentata anche Marine Le Pen


ROMA – “Ho fatto questo film perché ho paura”. Lo dice subito Lucas Belvaux, che dopo la commedia romantica “interclassista” Sarà il mio tipo? ha puntato dritto sulla politica, anzi su un partito: il Front National di Marine Le Pen, la candidata di estrema destra in forte ascesa nella politica francese. La donna è incarnata sullo schermo da Catherine Jacob, che per aver accettato questo ruolo ha ricevuto insulti e minacce sul web. Ma al centro del racconto di A casa nostra c’è una giovane infermiera (Émilie Dequenne) che si lascia convincere a candidarsi a sindaco della sua cittadina proprio nelle liste del partito di estrema destra. È quasi una discesa agli inferi, la sua, dalla popolarità di una donna forte e generosa, amata da tutti, alla sua trasformazione in marionetta al servizio di una macchina elettorale che diffonde messaggi di intolleranza. Pauline, tra l’altro, è figlia di un metalmeccanico comunista, si innamora di un picchiatore fascista senza capire chi è davvero e si lascia affascinare dal suo mentore (André Dussollier), medico benestante che presto lascerà affiorare un lato oscuro. A casa nostra – il cui titolo allude agli slogan nazionalisti – è stato mostrato nell’ambito dei Rendez-Vous e uscirà in sala il 27 aprile con Movies Inspired.

Succede davvero così quando il Front National cerca persone da candidare?
Certo, FN ha un problema a costituire le liste perché non ha quadri e militanti pronti a presentarsi. Durante la campagna elettorale continuano a ingaggiare persone. È un partito in cui puoi essere militante un giorno e il mese dopo ritrovarti eleggibile in lista. Questo però pone loro un problema: alle ultime comunali hanno avuto un numero record di eletti, ma due anni dopo ne avevano persi il 28%. Candidandosi, questi avevano fatto un gesto di protesta, non volendo vedere che si trattava un partito di estrema destra. Una volta dentro, però, hanno capito che non erano d’accordo e se ne sono andati.

Il partito che lei dipinge dà un grande valore all’immagine, costringe persino la sua candidata a tingersi i capelli.
L’80% delle candidate del FN sono bionde, ed è una percentuale che non corrisponde a quella della popolazione. Anche le leader dei partiti populisti europei sono, per la stragrande maggioranza, bionde. La stessa Marine Le Pen non è bionda naturale. Il fisico fa passare messaggi alla gente: essere biondi significa, chiaramente, non essere arabi.

Nel film si percepisce una sorta di “rumore di fondo”, parole che incitano all’odio che escono dalla tv o dalla radio…
Mentre scrivevo, Éric Zémmour, uno scrittore di estrema destra, impazzava in tv. Lui fa un discorso estremamente violento sulla guerra di civiltà e sull’idea che la popolazione cristiana di Francia stia scomparendo in favore dei musulmani attraverso l’immigrazione e l’aborto. Ha scritto due libri di successo ed era sempre in tv: non ne potevo più di ascoltarlo. È un delirio assoluto che entra a poco a poco nella testa della gente. Gli adolescenti lo ascoltano, gli credono e si inventano dei nemici. Alcuni adolescenti si sono radicalizzati esattamente come i jihadisti e hanno aperto blog di propaganda.

Sa se Marine Le Pen ha visto il suo film?

Se lo ha visto non me l’ha detto. Credo che non le interessi e che nemmeno gli altri lo abbiano visto. So di un solo uomo dell’ufficio politico del partito che lo ha visto, ma non ne ha voluto parlare pubblicamente. Preferiscono commentare senza averlo visto.

I protagonisti hanno esitato ad accettare il ruolo?

Al contrario, questo è il film per cui gli attori mi hanno detto sì più velocemente.

André Dussollier è forse il più diabolico…
Avevo bisogno di un attore che avesse un’immagine simpatica, che fosse seducente e intelligente. Le idee politiche non si leggono sul viso delle persone.

C’è anche una riflessione sull’eredità, o meglio la mancata eredità di cultura politica, tra generazioni.
Un tempo la politica era la politica, oggi non lo è più. C’è il padre di Pauline, lei stessa e i nipoti: volevo raccontare che c’è stato un problema nella trasmissione della storia sociale e operaia del Paese. Per un secolo la Francia ha votato a sinistra con movimenti sociali e una comunità operaia molto forte. Negli anni ’80 tutto ciò è sparito, gli operai si sono sentiti traditi dalla sinistra e non hanno più trasmesso i loro ideali: i loro figli sono cresciuti assistendo a un’alternanza tra sinistra e destra senza vedere cambiamenti e differenze. Si sono disinteressati alla politica e poi, quando si sono rimobilitati, sono andati verso i partiti che sembravano incarnare le idee operaie, come il FN, che lavora molto sulla storia raccontandola a modo suo, concentrandosi sulle storie operaie, gli scioperi.

Da sinistra che reazioni ha avuto al film?
Poche. La stampa di centrosinistra è stata tiepida, ha trovato il film un po’ caricaturale e questo non mi sorprende. È da 20 anni che non si fa più cinema politico in Francia ed è stato un errore: bisogna dire le cose come stanno. Bisogna ridare senso a un discorso di sinistra. Non ci può essere una sinistra liberale. Essere di sinistra significa essere marxisti, se non altro nell’analisi dei rapporti di classe. La democrazia ha bisogno di una destra e di una sinistra. Il populismo dice che non esistono e che c’è un solo popolo, ma è ovviamente falso, dov’è lo scambio, il confronto, dove sono i valori?

Immagino che conosca un po’ la politica italiana…
Sono quasi più preoccupato per la politica italiana che per quella francese. La bellezza della politica italiana è nella decentralizzazione, ma allo stesso tempo questa provoca una mancanza di coesione anche nel sentimento nazionale, il che offre campo libero al Movimento 5 stelle e alla Lega Nord. Tutto è molto confuso e la confusione porta al populismo.

Anche il suo prossimo film sarà politico?

Ho voglia di alternare, ma in realtà faccio sempre film un po’ politici. Il mio precedente, Sarà il mio tipo?, è una commedia romantica molto politica, sulla frattura culturale. È stato proprio girando quello che ho avuto voglia di girare A casa nostra, per approfondire la riflessione.

Michela Greco
08 Aprile 2017

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