Roberto De Paolis: “Perdere la verginità”

Cuori puri, opera prima del 37enne Roberto De Paolis, che debutterà il 23 maggio alla Quinzaine di Cannes e sarà in sala il giorno dopo con Cinema, racconta l'amore tra due giovanissimi


La paura dell’altro, del diverso, che spesso diventa aggressione, rabbia. Ma anche il desiderio dell’altro. Cuori puri, opera prima del 37enne Roberto De Paolis, che debutterà il 23 maggio alla Quinzaine di Cannes, si muove tra questi due poli. Protagonisti due giovanissimi, Stefano (il Simone Liberati di Il permesso 48 ore fuori) e Agnese (Selene Caramazza). Lui è il classico ragazzo di periferia, famiglia disastrata e amici delinquenti, ma invece di spacciare cerca di darsi da fare, lavorando come guardiano di un parcheggio, proprio accanto al campo rom. Lei ha appena compiuto 18 anni e la mamma (Barbora Bobulova) la tiene sotto un campana di vetro. Agnese frequenta assiduamente la parrocchia e il gruppo dei coetanei che sotto la guida di Don Luca (Stefano Fresi) sono pronti a fare voto di castità fino al matrimonio. Il film, prodotto dallo stesso De Paolis e da Carla Altieri per la Young Film, con Rai Cinema e con il sostegno della Regione Lazio, uscirà il 24 maggio con Cinema, la società di Valerio De Paolis, padre del cineasta che si è formato alla London International Film School ed è attivo anche come fotografo e videoartista.

De Paolis, come ha affrontato il racconto della borgata? Come si è documentato?

E’ stato un lavoro molto lungo. All’inizio avevo cominciato a scrivere, insieme agli sceneggiatori, un po’ a tavolino, ma poi abbiamo capito che sarebbe stato un peccato di superbia. Occorreva piuttosto partire dall’osservazione della realtà. Era un mondo che non conoscevo, quello delle comunità cattoliche e dei campi rom. Siamo stati a Tor Sapienza, anche con gli attori, Selene Caramazza, Simone Liberati, Edoardo Pesce, che fa l’amico Lele. Abbiamo frequentato due comunità, una evangelica e l’altra cattolica, per definire il personaggio di Agnese, ci siamo avvicinati ai “palazzoni” di viale Morandi, alla difficoltà di trovare lavoro, ai piccoli percorsi di criminalità. Abbiamo trovato un parcheggio che sorge accanto a un campo rom, come si vede nel film.

E’ difficile raccontare i rom senza cadere negli stereotipi?

I rom nel film sono sullo sfondo, comunque sono stato al campo di via Salviati e sono diventato un po’ loro amico. Loro sono disponibili e accoglienti, magari cercano di spillarti qualche soldo. Volevo capire cosa potevano rappresentare per Stefano. Lui ha paura di diventare come loro, tanto è vero che i suoi genitori finiscono per essere sfrattati e andare a vivere dentro una roulotte. In questi quartieri i rom per i ragazzi italiani senza lavoro sono una specie di fantasma, uno spauracchio.

Ha raccontato un cristianesimo intransigente ma allo stesso tempo aperto attraverso una figura di prete comunicatore.
Il cinema spesso racconta la Chiesa giudicando, mentre il mio obiettivo era provare a viverla. Ho avuto la fortuna di lasciarmi andare irrazionalmente e la fascinazione per questo mondo ha prodotto una sfida: raccontare una Chiesa aperta, contemporanea e illuminista, attraverso la figura del prete filosofo, legato più alla saggezza di Gesù che ai dogmi del clero. 

Come ha scelto i due protagonisti?
Li ho scelti innanzitutto perché sono bravi e poi perché hanno potuto dare qualcosa di se stessi ai personaggi. Pur con le dovute differenze, c’è uno scambio tra personaggio e persona. Questo è il punto forte.

Che effetto le fa essere selezionato alla Quinzaine?
Abbiamo dedicato al film tanti anni di lavoro, anche perché la sceneggiatura iniziale non era convincente e abbiamo avuto molti no, ma abbiamo accettato la sfida creativa di lavorarci ancora. Ora sarà a Cannes e poi uscirà subito in sala. E’ un percorso che si conclude.

Perché questo titolo? Cos’è la purezza?
Cuori puri può essere interpretato in due modi. C’è una purezza positiva, ma c’è anche l’accezione negativa. Agnese vuole rimanere incontaminata ed è chiusa in una comunità dove tutti la pensano allo stesso modo, anche Stefano cerca di difendere il territorio dagli zingari. La verginità è vista come perdita di un’illusione infantile di purezza e di perfezione: la verginità di un corpo, di un territorio che non vogliono mischiarsi con l’esterno. 

Perché la scelta della camera a mano?
Simone improvvisava molto e la macchina a mano era la soluzione migliore, perché è al servizio degli attori e dei loro movimenti spontanei.

Cristiana Paternò
12 Maggio 2017

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