Renzo Rossellini: “Mio padre è vivo, ma solo a Pesaro”

Il figlio Renzo, ospite della tavola rotonda sul maestro del Neorealismo alla Mostra del Nuovo Cinema, polemizza con Roma e Venezia che non hanno organizzato nulla per il quarantennale della morte


PESARO – Il pubblico di Piazza del Popolo – entusiasta per il ritorno di Roma città aperta e attento ogni sera alla visione delle pillole rosselliniane (dai sopralluoghi in India ai ciak di Viaggio in Italia) che aprivano le proiezioni – ha dimostrato che Rossellini è vivo. Almeno lo è alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro che ha dedicato al grande regista e intellettuale una importante retrospettiva. Omaggio doveroso, come spiega il fondatore del festival Bruno Torri, perché a Rossellini, come a Pasolini, questa manifestazione deve moltissimo. Stamane al Centro Arti Visive – Pescheria si è svolta una tavola rotonda che ha ripercorso il metodo del maestro del Neorealismo e i suoi ambivalenti rapporti con la critica, ideologicamente divisa, specie nel periodo Bergman, quando sembrò tradire gli ideali di una parte politica affrontando temi esistenziali e in certa misura religiosi, sia pure da ateo. Alla tavola rotonda hanno partecipato Adriano Aprà, Elena Dagrada, padre Virgilio Fantuzzi, Piero Spila, Roberto Turigliatto, Fulvio Baglivi e naturalmente il figlio Renzo, nato nel ’41 dal matrimonio con Marcellina De Marchis.

Renzo è a Pesaro anche per inaugurare la mostra, ospitata dalla Galleria Franca Mancini, di scatti fotografici di di Vittorugo Contino. Si tratta di immagini di un set, quello de Il generale Della Rovere, il film del 1959 con Vittorio De Sica che vinse il Leone d’oro a Venezia, ex aequo con La grande guerra di Monicelli. Renzo ne ricorda la lavorazione, a cui partecipò come regista di seconda unità, e ha portato qui al festival quel Leone d’oro, che suo padre consegnò proprio a lui. In tasca poi ha l’ultima lettera, scritta macchina ma firmata di suo pugno, in cui il genitore, morto il 3 giugno 1977, gli consegna la sua eredità materiale e spirituale: “Ora che mi sento vecchio mi conforta, solamente, l’idea che il mio progetto enciclopedico grazie a te non rimarrà incompiuto. Papà tuo”. 

Ha portato a Pesaro il Leone d’oro vinto con Il generale Della Rovere. Che ricordo ha di quel momento?
Giravamo il film a quattro mani per poterlo rendere pronto per Venezia, si lavorava giorno e notte. Papà andò alla Mostra del cinema e tornò col Leone d’oro: volle darlo a me perché si era accorto che avevo girato un minuto più di lui, anche se di scene secondarie. Era fatto così. 
 
Lei deve molto a suo padre: qual è la sua lezione rimasta indelebile?
Mio padre mi ha insegnato per prima cosa il mestiere di essere umano. Anche l’impegno politico, certo, ma soprattutto questo. Mi ha incaricato di continuare la sua opera e ho fatto il produttore per 58 anni. Mi ha trasmesso il rispetto per le donne come base dell’amore. E persino come comportarmi con loro nelle attività intime. Ma di questo non è il caso di parlare davanti a un giornalista.

Come vede il cinema italiano di oggi?

Non capisco come in un mondo così complesso, come quello attuale, il cinema non abbia la voglia di raccontarlo e di dare un giudizio etico, come ha fatto mio padre durante l’occupazione nazista. C’è bisogno di essere presenti e dire la propria anche urlando. Mio padre mi ha insegnato che la rabbia è una forma di amore per le vittime dei prepotenti. E credo che oggi questo non si faccia per niente. Non vedo film dove ci sia impegno, a parte forse Diaz di Daniele Vicari.

Crede che la sua figura sia stata ricordata in modo adeguato nel quarantennale della scomparsa?
In Italia è stato quasi completamente dimenticato. A parte la Mostra di Pesaro. Sono andato a manifestazioni per il quarantesimo della sua morte sia a Berlino che in Francia. In Italia il ministero e il governo non hanno fatto nulla. Non mi risulta che ci siano ricordi in programma alla Mostra di Venezia o al Festival di Roma. Devo andare fino in Cina ad ottobre perché gli rendano omaggio. La televisione italiana, è vero, mi ha fatto una lunga intervista su Rai Storia che è andata già in onda, ma tutto qui. Forse lo ricorderanno solo nel secolo prossimo, visto che questo attuale ha fatto pochissimo.

Come spiega questa dimenticanza, che potrebbe applicarsi anche ad altri maestri del passato, come Elio Petri ad esempio?
Questa nazione è stata educata per alcuni secoli all’indifferenza. Ma l’ignavia è un peccato grave, Dante gli ignavi li aveva messi giustamente all’inferno. 

Che film farebbe, oggi, Roberto Rossellini?
Un film sull’Italia di oggi, o con metafore o direttamente. 

C’è qualche autore giovane che ha raccolto la sua eredità?
Trovo tanti talenti, mi viene in mente Franco Maresco ad esempio, ma nessuno ha veramente proseguito la sua opera. E’ anche vero che i talenti sono poco sostenuti sia dai giornalisti che dai produttori e dalla distribuzione. Credo che la diffusione del prodotto cinematografico più è ampia meglio è, anche rispetto a nuove piattaforme come Netflix. Il fatto che in tv un film viene visto da milioni di spettatori e, al cinema, solo da decine di migliaia dimostra che la televisione sarebbe importantissima per la diffusione dei contenuti. Opporsi alle nuove piattaforme oggi sarebbe come in passato opporsi all’avvento del colore o del sonoro: il cinema cresce anche attraverso i cambiamenti di linguaggio.

In realtà anche la Cineteca di Bologna, insieme a Istituto Luce Cinecittà, ha organizzato il 24 giugno, in apertura del festival Il Cinema Ritrovato, un confronto sull’eredità di Roberto Rossellini a cui prenderanno parte, insieme a Marco Bellocchio, alcuni autori che hanno rappresentato l’Italia all’ultimo Festival di Cannes: Leonardo Di Costanzo, Roberto De Paolis, Annarita Zambrano e Jonas Carpignano. 

Cristiana Paternò
23 Giugno 2017

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